Diamo tempo al tempo (2)

Relatività

Relatività

Di cosa parliamo, quando parliamo di tempo? Newton parlava di un “tempo assoluto”, al di sopra di noi, che non possiamo controllare, qualcosa di universale e paragonabile al divino. Leibniz non era d’accordo: per il filosofo tedesco il tempo è solo uno strumento che noi umani utilizziamo per misurare la durata da un evento all’altro, ed esiste solo in quanto accadono eventi osservabili e misurabili in “anteriore” e “posteriore”, in “precedente “ e “successivo”. Considerava quindi il tempo, più che altro, come un mezzo con cui la Natura impedisce che le cose avvengano tutte in una volta.

Poi un secolo fa è arrivato Einstein che, con la sua teoria della relatività, ci ha rivelato che il tempo non è che una delle dimensioni dello spazio-tempo: in effetti, quando abbiamo un appuntamento, dobbiamo stabilire sia il luogo che l’ora, altrimenti sarà impossibile incontrarsi. Eppure il tempo è una dimensione sfuggente (in ogni senso): nello spazio ci possiamo muovere come vogliamo, avanti e indietro, e possiamo anche trovare un luogo piacevole dove poterci fermare. Nel tempo, invece, non possiamo né spostarci né fermarci: il tempo ci trascina con sé, volenti o nolenti. Domani sarà un altro giorno, che ci piaccia o no, e non potremo mai tornare né a oggi né tantomeno a ieri. Non possiamo tornare bambini, anche se possiamo tornare alla casa natale, volendo, ma solo nel suo stato attuale.

La teoria della relatività ci spiega anche che il tempo non è univoco e assoluto, ma dipende da come un osservatore si pone rispetto a ciò che vede; il tempo non scorre dunque per tutti allo stesso modo, ma scorre più lentamente o più velocemente a seconda delle circostanze, di dove ci si trova e di come ci si muove. La durata di ogni fenomeno dipende poi dal sistema di riferimento con cui viene misurato. Già l’ora segnata dai nostri orologi è qualcosa di relativo, in quanto non indica altro che la posizione della Terra rispetto al Sole, durante la sua rotazione. E nel mondo esistono ventiquattro momenti diversi di “ora” (dove “ora” in italiano è addirittura un sinonimo di  “adesso”).

Oltretutto, il concetto di “presente”, inteso come momento attuale, è inscindibile da quello di “presente” inteso come presenza fisica, quindi “in questo momento e in questo luogo”. Per la fisica quantistica non esiste infatti un “adesso” riferito ad un altro luogo, in quanto per conoscere quello che accade altrove abbiamo bisogno dei nostri sensi, della vista e dell’udito. Ma la vista e l’udito non sono istantanei, viaggiano alla velocità della luce e del suono che, per quanto elevatissime, non sono velocità infinite. Quindi, nel momento in cui percepiamo qualcosa che accade al di fuori di noi, quel qualcosa è già accaduto, non è più “presente”.  Persino le sensazioni tattili e olfattive richiedono un certo tempo – più o meno un decimo di secondo – per giungere al cervello e, dal punto di vista della fisica, nemmeno in quel caso si può parlare di “adesso”: nel momento in cui urtiamo qualcosa col gomito, il dolore che sentiamo è riferito ad un urto già avvenuto nel passato, anche se recentissimo.

Persino il modo in cui viviamo i nostri istanti può variare: anche se ci sembra che l’orologio segni lo scorrere dei secondi in modo costante, il tempo che percepiamo col cervello non è quello scandito dalle lancette, ma è una realtà soggettiva influenzata dalla nostra psiche e dalla nostra esperienza personale. Ognuno di noi ha i propri ritmi circadiani e il proprio tempo, che dipende da tanti elementi esterni e interni, da fattori biologici, psicologici, intellettuali e sentimentali: il tempo accelera, rallenta, si dilata. Corre troppo per chi è felice, va troppo lento per chi soffre o è in attesa; per gli innamorati il tempo è eternità.

(2 – Continua)