La carrozza di Gurdjieff
Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume
e poi ritrovarsi a volare
E sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare un sottile dispiacere
E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire dove il sole va a dormire
Domandarsi perché, quando cade la tristezza in fondo al cuore,
come la neve non fa rumore
…
Capire tu non puoi.
Tu chiamale se vuoi emozioni
(Mogol – Battisti)
Chiamiamole pure, se vogliamo, emozioni, come suggeriva Lucio Battisti. Anche se non le possiamo capire. Non sempre.
Il filosofo e mistico armeno Georges Gurdjieff, per esempio, formulò nel secolo scorso una teoria per illustrare come si possa restare in balia delle proprie emozioni. Per descriverla elaborò la metafora di una carrozza – che rappresenta il corpo – tirata da cavalli, cioè da emozioni spesso incontrollabili, che possono portare il corpo in direzioni imprevedibili. Il cocchiere è la mente, che ha la responsabilità di guidare i cavalli, mentre il passeggero è l’anima (o la coscienza), cioè la parte più consapevole. Secondo Gurdjieff per molta gente il passeggero è passivo, la mente e le emozioni guidano il corpo senza alcun controllo da parte della coscienza, portando a una vita guidata da impulsi irrazionali e condizionamenti sociali. La metafora della carrozza spiegherebbe perché ci comportiamo spesso in modo irrazionale, condizionati da influenze esterne, meno consapevoli e meno liberi.
Eppure, se siamo sopravvissuti alla selezione naturale non è stato solo in virtù dell’intelligenza o della forza, ma anche grazie alle emozioni che ci hanno permesso di superare situazioni critiche. Si dice che non è il più forte a sopravvivere ma chi riesce ad adattarsi: i mammiferi erano meno forti dei tirannosauri ma sono sopravvissuti alla catastrofe cosmica che ha estinto i grossi rettili. Anche le emozioni hanno contribuito alla nostra evoluzione: le prede che, incoscienti, si avvicinavano temerariamente ai predatori avevano poche probabilità di trasmettere i propri geni ai discendenti. E quindi la paura, la collera, il disgusto, forse anche l’amore e la gioia sono retaggio della selezione naturale, emozioni che spesso ci salvano facendoci reagire in certi modi, inviando segnali chimici al cervello e preparando il corpo alla fuga, all’attenzione, all’attacco, o all’abbraccio.
Per sopravvivere, nessun animale, nemmeno l’uomo può ogni volta aspettare le conseguenze degli eventi, per valutare la presenza di un pericolo. Per questo il cervello decide a diversi livelli: alcune decisioni vanno prese rapidamente, senza il tempo di ragionarci sopra.
(1 – Continua)