Lunga e lenta dissolvenza
“Saper invecchiare” (Savoir vieillir nell’originale francese) è il titolo di una poesia di François Fabié del 1912. Si tratta di un invito – a chi ha superato una certa età – ad accettare e ammettere a se stessi di invecchiare, a conformarsi e adattarsi alla nuova vita di quella che viene definita “vecchiaia” oppure, per addolcirne un po’ il sapore, “terza età”. I cui esponenti vengono chiamati vecchi, anziani, o – più eufemisticamente – senior, in alcuni casi over X, dove X rappresenta un’età, normalmente 60 o 65 a seconda del contesto, anche se definire un’età precisa nel diventare vecchi è improprio: l’ingresso nella terza età è lento e graduale e varia molto tra individui e tra comunità.
È un fenomeno che non viene percepito appieno perché spesso – se si esclude il momento del pensionamento – si tratta di un processo graduale, di una lunga e lenta dissolvenza. Molte attività che svolgiamo da giovani e adulti lentamente svaniscono, e anche il corpo si trasforma: non riusciamo più a salire le scale di corsa, i capelli si diradano e ingrigiscono, la pelle perde elasticità e compaiono sempre più rughe, la vista si indebolisce, ci colpiscono piccoli acciacchi, prima il ginocchio, poi la caviglia, poi la schiena, uno dopo l’altro finché alla fine non funziona quasi più niente.
Diventare “vecchi” è un po’ come diventare “grandi”: la vecchiaia è simmetrica alla giovinezza, è un cammino graduale, una salita, dopo che il cammino dell’adolescenza era stato in discesa.
La vita è infatti come l’attraversamento di una vallata, da una cresta all’altra. Nasciamo sulla prima cresta, non abbiamo alcun passato alle spalle, nessun riferimento di vita vissuta dietro di noi, mentre giù davanti c’è una grande vallata da raggiungere, uno splendido paesaggio di sogni, progetti e avventure da vivere.
(1 – Continua)