Il primo ricordo
L'ultima luna la vide solo un bimbo appena nato, aveva occhi tondi e neri e fondi e non piangeva con grandi ali prese la luna tra le mani e volò via e volò via era l'uomo di domani, l'uomo di domani. (Lucio Dalla)
I bimbi appena nati sono gli uomini di domani, cantava Dalla nel 1979. Ai neonati si affida il testimone – l’ultima luna – per proseguire la corsa, anzi il volo, verso il domani.
Ma il neonato ovviamente non se ne rende conto. La coscienza inizia lentamente a delinearsi solo dopo qualche anno, all’età a cui risalgono anche i nostri primi ricordi. E i primi anni di vita fluttuano nella memoria come sprazzi di luce, scollegati tra loro, disseminati qua e là in mezzo a una grande oscurità. Le memorie legate a quegli anni sono in parte frutto di narrazioni successive ascoltate dagli adulti (soprattutto dai genitori) ma anche di qualche ricordo personale diretto. Di molti ricordi mi è rimasta impressa un’immagine visiva dell’evento e del luogo dove si è svolto; ad ogni età abbíno un luogo, una città, e anche una nazione diversa.
Lo spazio e il tempo corrono paralleli, lungo le nostre storie di vita. Laddove si sposta il tempo si sposta anche lo spazio, soprattutto per chi ha viaggiato e vissuto in luoghi diversi nell’arco della propria vita. La mia infanzia, ad esempio, è legata indissolubilmente agli Stati Uniti, ai quartieri di Detroit dove ho mosso i primi passi e dove ho vissuto fino ai cinque anni d’età. Il mio primo ricordo riguarda un trasloco: alla mia nascita abitavamo in una casa di Moross Road, ma dopo qualche anno i miei genitori decisero di trasferirsi in una villetta poco distante, a Saratoga Avenue. Ovviamente io non mi resi conto del trasloco e di quel che stava accadendo: di quel momento – avevo tre anni – l’unica cosa che ricordo (di fatto la più antica impronta nella mia memoria) è che arrivammo un giorno in una nuova casa, che però era vuota. Non c’erano mobili, nessun tavolo, nessuna sedia, niente letti… E mi accorsi subito che, mentre i miei genitori parlavano, le loro voci riecheggiavano dappertutto e la cosa mi colpí. Mi misi anch’io a fare suoni, a gridare in giro per le varie stanze vuote per sentire l’eco della mia voce rimbalzarmi addosso. Sembrava che ci fossero fantasmi nascosti dietro le pareti che mi rispondevano. Continuai a duettare cosí con gli spettri per un po’, finché non fu il momento di andarcene da quella strana casa. Per tornarci qualche giorno dopo, insieme ai mobili.
(1 – Continua)