Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani
Culturalmente l’Italia fu forse la più precoce fra le moderne nazioni europee e il periodo tra il Duecento e il Trecento fu un momento cruciale della sua formazione: la grande fioritura letteraria e artistica (Giotto, Dante, Petrarca, Boccaccio…) dell’epoca, insieme al primo tentativo di creazione di uno Stato moderno (da parte di Federico II) contribuirono al processo di formazione della nazione italiana.
Nel Medioevo si affermò poi nell’Italia centrale un forte Stato della Chiesa, che si impose soprattutto grazie all’energia di papa Innocenzo III. Nella sua storia millenaria, contrassegnata da momenti di decadenza alternati a periodi di splendore, la Chiesa Romana è stata un ostacolo alla riunificazione politica degli italiani, quelli del Nord e quelli del Sud, ma ha anche avuto un ruolo centrale nella politica e nella cultura europea, un’istituzione che ha condizionato la vita e il costume degli italiani.
Ha infatti avuto grande influenza sul popolo italiano, nel corso della sua storia, il sistema di valori cristiani trasmesso dalla Chiesa di Roma. Nei Musei Vaticani è possibile visitare un lungo corridoio i cui muri riportano le mappe di tutte le principali regioni e città italiane dalle Alpi fino alla Sicilia, commissionate da Papa Gregorio XIII (quello del calendario che tuttora usiamo). Le carte geografiche del Vaticano sono state concepite con l’intenzione di raffigurare tutte le terre e i luoghi dell’Italia, perché il papa regnante era italiano. Non ci sono confini politici sulle mappe, tra le regioni di quella che il Papa e i suoi contemporanei consideravano la propria terra, anche se politicamente divisa. Non è dunque vero che l’Italia intesa come nazione sia un concetto dell’Ottocento, imposto con la forza. La Galleria delle Mappe non è solo la testimonianza di com’era la Penisola alla fine del Cinquecento, ma anche di come il sentimento di italianità fosse molto più antico del Risorgimento.
Risorgimento che nacque anch’esso dalla crisi dell’occupazione straniera, un processo storico iniziato dopo Napoleone e terminato con la presa di Roma del 1870, quando la maggior parte d’Italia riacquistò l’indipendenza sotto la corona dei Savoia e si riunificò politicamente, dopo circa tredici secoli.
In quegli anni iniziò anche a divulgarsi la lingua italiana, fino ad allora parlata e scritta solo dalle classi colte (l’aristocrazia, la borghesia e gli intellettuali). L’affermazione dell’italiano fu tuttavia lenta, a causa della scarsa mobilità delle persone, del basso livello di scolarizzazione e del radicamento dei dialetti e degli idiomi regionali parlati prima dell’unità.
Peraltro i dialetti, anche dopo l’unità d’Italia, sono restati a lungo l’unico veicolo di comunicazione per la stragrande maggioranza degli italiani, come ricorda anche la celebre frase “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli Italiani” attribuita a Massimo D’Azeglio, uno dei protagonisti dell’unificazione del 1861. È logico dunque che, non potendo comunicare tra loro, gli italiani non si siano sentiti un unico popolo, una singola nazione, almeno finché l’obbligo scolastico dapprima (istituito solo nel 1923) e la diffusione di radio e televisione poi (soprattutto dagli anni ’50) non allargarono l’uso dell’italiano agli strati più popolari, consentendo così di comunicare in un’unica lingua nazionale.
Ma torniamo alla nostra domanda, chi siamo noi italiani? Oltre all’amore per la pizza, per la nazionale azzurra e per la mamma, cos’altro ci accomuna? Nonostante i vecchi stereotipi, la popolazione italiana è molto variegata entro e tra le varie regioni. Gli italiani non sono accomunati da particolari caratteristiche fisiche, anche a causa delle diverse dominazioni che si sono succedute nel Paese. Il principale elemento che unisce la maggior parte degli italiani è l’eredità romano-latina, testimoniata dalle opere di letterati, intellettuali e studiosi italiani a partire dal XIII secolo. Dunque non siamo tutti uguali, siamo assimilati più che altro dalla sola cultura.
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