È nelle sale italiane da poco un film interessante che racconta la vicenda triste ma comune di donne sfruttate economicamente da un mercato del lavoro alquanto iniquo. Non siamo in Africa o in Cina, ma nella gloriosa Francia e a patire le ingiustizie non sono immigrate con difficoltà per questioni di lingua o di permesso di soggiorno, ma persone con regolare carta d’identità e documenti a posto, francesi o comunque perfettamente integrate in Europa.
Il film è tratto dal libro inchiesta di Florence Aubenasche Le Quai de Ouistreham. Per vestire i panni della giornalista, il regista Emmanuel Carrere (nella foto) ha voluto Juliette Binoche ed è lei l’unica attrice professionista presente nel film, gli altri – bravissimi – sono presi dalla vita.
Sappiamo come lavora Carrère ai suoi romanzi, “infiltrandosi” nella scrittura racconta di sé, della sua vita e delle vite degli altri, trattando spesso la materia come una grande inchiesta (Limonov ne è uno degli esempi più fulgidi). Dirigendo questo film/documento è quindi immerso nel mood che lo rappresenta meglio. La protagonista, Marianne, giornalista abituata a calarsi nelle storie che racconta, si sposta da Parigi a Caen e si finge disoccupata, abbandonata dal marito, sola, povera. La finalità è entrare nel giro delle donne delle pulizie e finirà a lavorare sui traghetti che passano la Manica. Da borghese intellettuale, Marianne si finge proletaria: ogni mattina si alza alle quattro, percorre i chilometri necessari per raggiungere il porto e in 90 minuti – non uno di più – si prende cura con precisione e pulizia delle stanze (e dei bagni) lasciati dai viaggiatori, in attesa che il traghetto riparta. Un numero infinito di lenzuola da cambiare, di water da disinfettare, di pavimenti da lavare. Per pochissimi euro al giorno.
Marianne sa fare il suo mestiere di scrittrice – meno quello di addetta alle pulizie – e sa come districarsi nelle difficoltà, anche perché può tornarsene indietro, al suo mondo, quando vuole. Però ha bisogno di conoscere la realtà da vicino, e non basta la sua sola esperienza sul campo, deve capire anche le ragioni – e le reazioni – delle sue compagne di lavoro, deve fare un passo in più…
È su questo che si basa il film: sulla sottile linea che passa tra la menzogna e la sincerità. Marianne diventa amica di una sua collega che le apre la sua casa, il suo cuore, le racconta con schiettezza i suoi problemi, come a un’amica, si fida di lei.
E lo spettatore è obbligato a chiedersi quanto sia onesto fingersi qualcosa che non si è per ottenere informazioni utili a scrivere un libro, anche se il libro serve a denunciare un’ingiustizia sociale. Quanto sia concesso di tradire la fiducia altrui per un tornaconto, seppure in parte virtuoso. E quando Marianne, una volta pubblicato il libro, torna alla sua vita borghese, non è facile spiegare a chi le ha creduto che la parte di amicizia vissuta durante l'”inchiesta” era sincera. Il limite tra due mondi diversi è sempre difficile da valicare.
Recitazione molto incisiva, regia accurata, in bilico quasi perfetto sul crinale del dramma, l’unico neo, per chi apprezza l’asciuttezza della narrazione, è la scelta della colonna sonora, che punteggia con eccessivo pathos i passaggi emotivi.