O Paese d’o sole
Napoli è il luogo simbolo dell’Italia. Questa città racchiude e concentra in poco spazio gli estremi dell’italianità, quanto di meglio e di peggio possa essere generato da questo Paese. Anzi, li amplifica, li esaspera, concentrando e condensando assieme arte di vivere, bellezza, umanità da un lato, rassegnazione, degrado, illegalità dall’altro.
Pure per la sua storia, Napoli è emblematica delle vicissitudini attraversate dall’intero Stivale. Antica colonia greca, poi luogo di villeggiatura molto ambìto sotto l’Impero Romano, colpita da cataclismi naturali (eruzioni del Vesuvio, terremoti…), Napoli è stata in seguito bizantina e normanna, terra di dominazione straniera per secoli, dagli Angioini agli Aragonesi, fino ai Borbone, che l’hanno resa una grande capitale europea prima di molte altre. Già dal Seicento Napoli aveva un carattere urbanistico che altre città europee avrebbero acquisito solo secoli più tardi. Nella capitale del Regno delle Due Sicilie furono realizzate nel ‘700 la Villa Reale (l’odierna Villa Comunale) sul modello delle Tuileries parigine ma sul mare, il corso Maria Teresa (ora Vittorio Emanuele) definito da Goethe la più bella strada del mondo, via Toledo e vari vialoni ornati da alberi e fontane monumentali, come quello di Poggioreale. La reggia di Caserta eguagliava per sfarzo ed eleganza quella di Versailles e anche nell’industria Napoli era molto avanzata tanto che proprio qui fu realizzata la prima linea ferroviaria italiana, la Napoli-Portici, nel 1839.
Dopo l’unità d’Italia molto è stato abbandonato o sventrato da speculazioni urbane, e in tanti attribuiscono proprio all’Unità, di fatto una conquista da parte dei Piemontesi, il sorgere dei fenomeni di illegalità, di camorra, di ribellione all’autorità statale, ma anche di un certo senso di fatalismo e rassegnazione, che in realtà già esistevano latenti durante la dominazione spagnola.
Nell’Ottocento, sulla scia del Romanticismo, la letteratura napoletana, i poeti, i pittori, i musicisti costruivano l’immagine di una Napoli abbagliata di sole, di mare, d’amore, creando così quello stereotipo che ha segnato così a lungo questa città. Uno stereotipo che le ha conferito quel carattere tipico – ‘O sole mio – che ha tanto affascinato ma che è stata anche una condanna, rinchiudendo in una sorta di “riserva indiana” a uso e consumo del folklore tutti i problemi e le contraddizioni della società napoletana. “Chist’è ‘o paese d’ ‘o sole, chist’è ‘o paese d’ ‘o mare, chist’è ‘o paese addò tutt’ ‘e pparole, sò doce o sò amare, sò ssempe parole d’ammore”: questo è il paese del sole, questo è il paese del mare, questo è il paese dove tutte le parole, che siano dolci o amare, sono sempre parole d’amore.
C’è voluta la guerra, il dopoguerra e il Neorealismo per cambiare rotta e stile letterario: basta parlare di mare, sole, amore! Guardiamo piuttosto allo squallore dei “bassi”, alla criminalità, alla camorra, alla sporcizia, eliminiamo il trucco col quale si è abbellito per troppi anni il volto di Napoli!
(2 – Continua)