Economia circolare
L’Italia è passata dal 10% di raccolta differenziata degli anni novanta al 52% attuale. Il 48% di immondizia che rimane è chiamata “indifferenziata”, di cui meno della metà (il 40% circa) viene usato come combustibile negli inceneritori che recuperano energia. Il restante indifferenziato va in discarica, anche se per le leggi europee non dovrebbe.
Ovviamente i rifiuti riciclabili non devono andare a incenerimento, cioé venire bruciati. Questi rifiuti possono appunto essere riciclati o recuperati in qualche modo. I rifiuti che vanno ad incenerimento sono quelli dell’indifferenziato, ma non quelli umidi, contententi acqua: più è alta la quantità di acqua nei rifiuti, meno questi sono adatti alla combustione. Per esempio gli scarti alimentari sono molto umidi, con alto contenuto di acqua, e quindi abbassano la capacità di combustione, con maggiori costi e danni per l’ambiente. Da questi scarti umidi si può invece produrre compost, una sorta di terriccio che migliora le prestazioni dei terreni agricoli. Fare bene la raccolta differenziata comporta dunque anche un miglioramento energetico e la diminuzione dei costi di gestione degli inceneritori, oltre che la diminuzione della quantità di rifiuti che vi vanno a finire.
L’obiettivo dell’Unione Europea è la cosiddetta “economia circolare”, quasi un ritorno all’utopia delle origini, dell’uomo cacciatore. L’economia circolare si basa sulle tre “R”: riciclare, riutilizzare e ridurre, sprecando e disperdendo il meno possibile nell’ambiente (in qualunque forma: solida, liquida o gassosa). L’obiettivo europeo prevede che entro il 2030 la raccolta differenziata debba raggiungere l’80% mentre non più del 10% potrà più andare in discarica. L’Italia però è ancora molto indietro, ed è per questo che se ne parla di più nel Bel Paese che nel resto d’Europa. Per fare un esempio, in Germania il 64% dei rifiuti viene riciclato, il 35% viene bruciato e solo l’1% finisce in discarica.
Anche in Italia ci sono tuttavia differenze tra regione e regione: in Lombardia il 39% dei rifiuti urbani va a incenerimento e solo il 4% in discarica, in Sicilia non ci sono inceneritori e l’80% dei rifiuti finisce in discarica. La Lombardia è vicina all’economia circolare, con il recupero energetico dai rifiuti, la raccolta differenziata e il ricorso minimo alle discariche.
Dopo il disastro di Seveso del 1976, la fobía dell’incenerimento e la paura della diossina emessa dagli inceneritori portarono alla realizzazione di tantissime discariche in tutta Italia. Nel corso degli anni divenne però chiaro che anche le discariche avevano un grosso impatto ambientale e occupavano eccessivo spazio. Si capì che le discariche non potevano sostituirsi agli inceneritori e così riprese la costruzione di questi ultimi.
Gli inceneritori di allora non sono ovviamente paragonabili a quelli moderni, che vengono anche chiamati “termovalorizzatori”, che hanno un sistema di trattamento dei fumi che prima non esisteva, e che abbinano l’incenerimento dei rifiuti anche al recupero di energia (da cui il nuovo nome): tramite la combustione dei rifiuti si produce energia elettrica e calore. Gli impianti più moderni distribuiscono anche acqua calda per i termosifoni delle case. Se proprio non riusciamo a riciclare gli scarti, tanto vale trasformarli in energia, anziché nasconderli sotto terra. Un altro vantaggio è che tramite l’incenerimento (anzi, la termovalorizzazione) si possono smaltire rifiuti a rischio biologico, igienico e sanitario, come quelli ospedalieri.
I paesi del Nord Europa costruiscono termovalorizzatori in mezzo alle città. Nel centro di Copenaghen sorge il termovalorizzatore di Copenhill, con emissioni minime, che con la combustione dei rifiuti fornisce elettricità a 62mila abitanti e ne riscalda 160mila. È situato all’interno di un parco, sulle sue pareti si può fare arrampicata e sul suo tetto scosceso si può sciare tra gli alberi.
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