Dalla rivoluzione alla differenziata
Nel Medioevo, periodo buio sotto molti aspetti, anche la gestione dei rifiuti e dell’igiene fu pessima. Molti cittadini tornarono nelle campagne per respirare aria pura ed evitare le acque contaminate dei pozzi. Le città erano colme di rifiuti di ogni genere che veicolavano malattie, come gli scarti dei mercati e delle lavorazioni artigianali. Non esistevano sistemi fognari efficienti, per cui le deiezioni si gettavano in strada. Gli animali, soprattutto i maiali, circolavano liberi per le strade e facevano da spazzini.
I rifiuti marcivano sotto il naso della gente, anche per l’ignoranza che esisteva all’epoca sul mondo invisibile dei batteri e dei virus. A quei tempi dominava la teoria dei “miasmi” secondo la quale le malattie erano connesse ai cattivi odori per cui, una volta eliminati questi, si pensava fossero scongiurate anche le malattie.
L’aumento della popolazione e il sovraffollamento delle città aggravarono sempre più la situazione, soprattutto con la rivoluzione industriale e la crescita degli scarti di produzione. Con l’avvento dei materiali non biodegradabili, come la plastica e le fibre sintetiche, durante gli anni del boom economico, lo smaltimento dei rifiuti ha iniziato ad essere non solo più una necessità di tipo igienico, sanitario, ma anche ecologico, per l’ingombro dei vari prodotti che venivano acquistati e gettati via, occupando sempre più suolo e deteriorando l’ambiente.
Però quello fu anche il periodo in cui i progressi della scienza (soprattutto nei campi della microbiologia e della chimica) consentirono di affrontare il problema dello smaltimento dei rifiuti in maniera più efficace. Ma anche più economica, perché non solo gli spazi si esaurivano e l’impatto su ambiente e salute diventava catastrofico, ma anche i costi per lo smaltimento aumentavano sempre più. Si è così passati a poco a poco dall’indifferenza alla consapevolezza di dover cambiare. Smaltendo i rifiuti correttamente, per evitare epidemie e inquinamento di falde e terreni, riutilizzando e riciclando quanto più possibile.
Fino a pochi decenni fa non esisteva una vera e propria gestione dei rifiuti: venivano smaltiti negli inceneritori, bruciandoli, o nelle discariche, interrandoli. Ma ormai è chiaro a tutti che col termine “rifiuti” si indicano in realtà materiali di scarto con caratteristiche diversissime, che non possono essere considerati e smaltiti indiscriminatamente allo stesso modo. È per questo che si fa la raccolta differenziata, che permette all’industria del riciclo di lavorare al meglio. I rifiuti diventano una risorsa quando l’industria è in condizione di poterli riciclare per ricavarne oggetti nuovi senza estrarre materie prime. Se si mescolano carta, plastica, metalli e umido, diventa impossibile trarre valore dai rifiuti e poterli considerare come una risorsa. Con la raccolta differenziata dividiamo i rifiuti in indifferenziati, riciclabili (carta, plastica, vetro, metalli) e umido (scarti alimentari). Ci sono poi anche particolari categorie come i rifiuti ingombranti, industriali ed elettrici.
L’Italia è passata dal 10% di raccolta differenziata degli anni novanta al 52% attuale. Il 48% di immondizia che rimane è chiamata “indifferenziata”, di cui meno della metà (il 40% circa) viene usato come combustibile negli inceneritori che recuperano energia. Il restante indifferenziato va in discarica, anche se per le leggi europee non dovrebbe.
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