Gentbrugse Meersen
Spesso per promuovere turisticamente una zona si creano infrastrutture stradali che tengono conto dei pedoni solo attraverso itinerari dedicati, già tracciati e predefiniti. Ma di spazi indefiniti, in mezzo alla Natura, che suscitano sorprese e scoperte, ce ne sono sempre meno. L’industria turistica, per rendere fruibili dal pubblico luoghi rari e preziosi, alla fine li banalizza, ne distrugge l’atmosfera e il fascino. Esistevano tanti luoghi magici, a cui si giungeva dopo ore di cammino, che ci garantivano solitudine, silenzio, bellezza, invasi ormai da masse motorizzate (e chiassose) che vi arrivano facilmente grazie alle nuove strade.
In uno di questi luoghi si conclude la mia passeggiata che avevo intrapreso verso il centro di Gent. Tornando a casa la prendo larga, costeggio il Visserijvaart e poi la Schelda, finendo il mio giro nel Gentbrugse Meersen, la zona verde e paludosa nell’ansa del fiume. Vivendo a Gentbrugge, mi sono spesso recato al Gentbrugse Meersen, che dista dieci minuti di cammino da casa. Passeggiavo nella macchia, tra le paludi e tra i boschi di betulle e ontani, mi sedevo con un buon libro a leggere su una delle rare panchine lungo i sentieri sterrati, e trascorrevo qualche ora di tranquillità e rilassamento in mezzo alla Natura.
Be’, ma perché uso il passato? Ci vado ancora, dopotutto. Il mio problema è che il Gentbrugse Meersen, come le aree naturali di cui parlavo prima, è stato di recente trasformato, valorizzato e rilanciato come uno dei grandi polmoni verdi di Gent. Sono state costruite piste ciclabili, percorsi guidati, aree attrezzate per giochi. C’è anche il “geboortebos”, il boschetto dei neonati.
Non che ora sia stato aperto alle auto, ci mancherebbe: sarebbe una contraddizione, nella città del mobiliteitsplan. Ma di sicuro l’area verde nell’ansa della Schelda non è più la stessa di prima, è divenuta oggi meno selvaggia, meno silenziosa, meno tranquilla: nei weekend primaverili ed estivi viene affollata da ciclisti, coppiette e famigliole a passeggio. Panchine ce ne sono più di prima, ma per la maggior parte sono occupate, e il più delle volte mi tocca continuare a vagare, col mio libro sottobraccio.
Riflessione e raccoglimento non mi riescono dunque più tanto bene, tra i boschi e le paludi del Gentbrugse Meersen e, facendo eco a Rousseau, posso dire di non “sentirmi più tanto me stesso” nella folla del weekend sulla Schelda. Ma perlomeno, con tutta la gente che affolla questi vialetti, non mi manca la materia prima per le mie considerazioni da sociologo dilettante. Osservo le persone e annoto, guardo, ascolto e annoto. Sempre camminando.
(5 – Fine)