Genio e “regolatezza”
Al maestro Morricone sono stati assegnati numerosissimi premi per le sue colonne sonore, tra cui tre Grammy Awards, quattro Golden Globes, dieci David di Donatello, undici Nastri d’Argento, due European Film Awards, un Polar Music Prize, un Leone d’Oro alla carriera, e tanti altri. Ma nonostante i molti riconoscimenti, Morricone non si montò mai la testa, rimase sempre coi piedi per terra, letteralmente: aveva infatti paura di volare, restò tutta la vita nella natìa Roma e solo una volta prese l’aereo per andare a ritirare un premio a Hollywood.
Uomo metodico, mattiniero e dai ritmi regolari, Morricone era un lavoratore rigoroso, un “artigiano” della musica da film, che lui considerava particolarmente complessa in quanto ciò che scriveva doveva “andare bene a lui, al soggetto, al pubblico, al regista e al produttore”. Doveva quindi ricorrere a tutta la sua genialità e creatività, spesso costretto anche da cause di forza maggiore, come accadde spesso per via delle limitate risorse a disposizione.
In particolare i western all’italiana di Sergio Leone, girati in Italia e Spagna in paesaggi che rievocavano le praterie del Far West, erano prodotti con scarsi mezzi. Il budget limitato non permetteva “cast” affollati (nei film di Leone non c’erano attori indios, e quindi niente “pellerossa”, tema invece molto presente nei western hollywoodiani) né consentiva a Morricone di disporre di grandi orchestre per le sue colonne sonore. La scarsità di risorse lo costrinse quindi a ricorrere a soluzioni originali, utilizzando suoni e strumenti con effetti del tutto nuovi, come l’ululato del coyote nel film “Il buono, il brutto, il cattivo”, eseguito con strumenti diversi in vari momenti del film.
L’Italia ha sempre avuto una grande tradizione di compositori di musica per il cinema, pensiamo a Nino Rota, Armando Trovajoli, Riz Ortolani, Piero Piccioni, Nicola Piovani… Ma una caratteristica speciale della musica di Ennio Morricone è stata l’originalità nella scelta degli strumenti. Ci vengono in mente l’assolo di tromba nel già citato “Il buono, il brutto, il cattivo”, o l’oboe in “Mission”, ma anche chitarre elettriche, arpe, mandolini, persino pianoforti scordati… E Morricone non si limitava agli strumenti tradizionali, utilizzò anche una grande varietà di suoni originali, come fischietti, campane di chiesa, colpi di frusta, cinguettii di uccelli, ticchettii di orologi, spari, oltre che voci umane.
Il Maestro era infatti convinto che ogni tipo di suono potesse trasmettere emozioni particolari, se utilizzato e percepito in modo adeguato. Anche per questo, d’altronde, le orchestre sono composte di sezioni formate da diversi strumenti, con timbri e “voci” differenti, che insieme creano la sinfonia. L’armonia nasce dalla diversità, una diversità però organizzata, strutturata, non caotica, in cui ognuno, ogni voce diversa dà il suo contributo alla composizione d’insieme, con le sue note ma anche con le sue pause. Un ordine nella diversità, metafora della vita stessa e della società umana.
(2 – Continua)