Intervista a Edith de Hody Dzieduszycka
Sono nata in Francia, a Strasburgo, dove ho passato i miei primi tre anni, seguiti dall’interruzione dovuta alla guerra, durante la quale con la mia famiglia siamo stati rifugiati in Auvergne. Appena ritornata a Strasburgo ho fatto studi classici e lavorato al Consiglio d’Europa per 12 anni. Ci sono rimasta fino al 1968, anno del mio arrivo in Italia. Dopo Firenze e Milano ora vivo a Roma dal 1979.
1) Quale funzione ha la poesia nella tua vita?
Ho disegnato, fatto collage e scritto poesia fin dalla mia adolescenza, ovviamente in francese, ricevendo il premio des Poètes de l’Est nel 1965. Dal 1968 ho dovuto imparare un’altra lingua, prima tradurmi, poi cominciare a scrivere direttamente nella lingua adottiva, esplorando contemporaneamente il campo artistico al quale si sono aggiunte la ristrutturazione e decorazione interni (diploma Accademia Arti Applicate a Milano nel 1978), la fotografia, la creazione di gioielli e molte mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Continuo a fare collage ogni tanto, ma posso dire che ora mi dedico completamente alla scrittura che riempie la mia vita e le mie notti insonni! Fotografia, poesia e poemetti, haiku, prosa: due romanzi e molti racconti. Ho pubblicato una trentina di libri, curato tre biografie e partecipato a numerose antologie.
2) Quali sono i libri che reputi più importanti tra quelli pubblicati?
I miei libri più importanti sono probabilmente il primo pubblicato in Italia: Diario di un addio, (Passigli, 2007) scritto dopo la morte di mio marito Michele. Un altro è Nella notte un treno (Il Salice, 2009), in cui rievoco i miei ricordi da bambina e gli eventi che hanno drammaticamente marcato la mia infanzia e la vita della mia famiglia durante la guerra 39-45.
3) Gli artisti hanno dei maestri di riferimento, quali sono i tuoi?
Mi hanno molto impressionata i testi potenti e tragici di Tadeus Rozewicz, e la poesia e la prosa di Fernando Pessoa, al quale ho dedicato il mio libro A quale Pessoa, Passigli, 2020, con la prefazione di Silvio Raffo, e di cui Diego De Nadai ha utilizzato alcuni testi per un video ora su YouTube. Ho anche scritto una raccolta di haiku finora inedita utilizzando esclusivamente parole e frase estratte dal suo Il libro dell’inquietudine. Amo molto anche la Szymborska e Giorgio Caproni.
3) Ci vuoi parlare dell’ultimo libro che hai pubblicato?
Ho pubblicato recentemente con La Vita Felice, 2018, una raccolta di poesie e sonetti, Poesie del tempo che fu, con la prefazione di Donato Di Stasi, testi scritti in Francia negli anni ’60, ancora sotto l’influenza di Baudelaire e Mallarmé (raccolta che aveva ricevuto il premio francese) e recentemente tradotti da me. L’ultimo uscito quest’anno è Viraggio, o Covidiario, giornale scritto giorno dopo giorno da febbraio a giugno 2020, eventi praticamente sovrapponibili a quelli che stiamo vivendo ora nel 2021…
4) Per chiudere l’intervista, ci regali una poesia che ha un significato speciale nella tua vita?
E’ un po’ lunga, mi dispiace, ma vorrei aggiungere la poesia Muri quattro, che apre Viraggio e che amo molto, recitata anche quella da Diego De Nadai nel 2020. Riguarda la pandemia che stiamo attraversando ormai da tanti mesi.
MURI QUATTRO
Muri quattro
chiave smarrita
forse nascosta
nelle pieghe dell’attesa
universo concentrazionario
nel suo interno Uno
al suo centro Uno
sempre quello
Uno uguale Uno
pure diverso
Uno contro Uno
e contro quello
sbatte e gira trottola
senza via d’uscita
senza scampo
con la testa all’indietro
o davanti nel dubbio
Vuole guardare l’Uno
dalla finestra chiusa
il mondo silenzioso
il mondo vuoto sotto
che prima brulicava gregge indaffarato
ignaro del domani
il domani in agguato
dietro la porta sciami
rivoli dilaganti
dal verso impercettibile
dal morso imprevedibile
alle pareti specchi lamiere smerigliate
a malincuore rinviano
riflessi rattrappiti di unità infranta
brandelli sparpagliati da rammendare
prima di raccordarli
ancora e ancora
alla trama spezzata
luci rifrangenti
sbattute contro soffitto
fanno svettare ali
ali spennate di angelo sconfitto
lotta dell’Uno
contro l’angelo proprio
volteggiano piume
grigie e sembra nebbia
spuntata dalla bocca d’un alto forno
vuole uscire l’Uno
dentro la serratura
ora gira la chiave ritrovata
va per le scale
l’Uno
l’Uno smarrito
per le scale che scendono
e scendono
ancora e ancora
verso l’inferno
respiro corto affanno
fuori aspettano le ombre mascherate
da dubbi angoscia rabbia
tornare indietro
ora vorrebbe
l’Uno
ma la ringhiera oscilla
verso l’incerto Uno
si china e lo sfotte
il muro sconcertato
il suolo trema
ringhia la Storia
avrà la forza
l’Uno
di risalire
o il coraggio forse di uscire
affrontare altri Uno
fantocci labili
e il sole beffardo che non li può scaldare
e nemmeno lambire
dietro la tenda opaca frastagliata
della paura?