Camillo Sbarbaro
(Santa Margherita Ligure,1888 – Savona, 1967)
Taci, anima mia
Taci, anima mia. Son questi i tristi
giorni in cui senza volontà si vive,
i giorni dell’attesa disperata.
Come l’albero ignudo a mezzo inverno
che s’attrista nella deserta corte
io non credo di mettere più foglie
e dubito d’averle messe mai.
Andando per la strada così solo
tra la gente che m’urta e non mi vede
mi pare d’esser da me stesso assente.
E m’accalco ad udire dov’è ressa
sosto dalle vetrine abbarbagliato
e mi volto al frusciare d’ogni gonna.
Per la voce d’un cantastorie cieco
per l’improvviso lampo d’una nuca
mi sgocciolan dagli occhi sciocche lacrime
mi s’accendon negli occhi cupidigie.
Ché tutta la mia vita è nei miei occhi.
Ogni cosa che passa la commuove
come debole vento un’acqua morta.
Io son come uno specchio rassegnato
che riflette ogni cosa per la via.
In me stesso non guardo perché nulla
vi troverei.
E, venuta la sera, nel mio letto
mi stendo lungo come in una bara.