Compositore: Camille Saint-Saëns, Robert Schumann
Direttore: Daniel Barenboim
Interpreti: Jacqueline du Pré (violoncello)
Orchestra: New Philharmonia Orchestra
Supporto: Vinile LP
Numero supporti: 1
Etichetta: Warner Classics
Data di pubblicazione: 11 maggio 2018
EAN: 0190295765330
ROBERT SCHUMANN 1810–1856
Concerto per violoncello in La minore, op. 129
CAMILLE SAINT-SAËNS 1835–1921
Concerto per violoncello No. 1 in La minore, op. 33.
Concerto per violoncello in La minore, op. 129
CAMILLE SAINT-SAËNS 1835–1921
Concerto per violoncello No. 1 in La minore, op. 33.
Le vicende biografiche. Talento precoce, ricevette la prima educazione musicale in famiglia e a soli undici anni debuttò in pubblico come pianista. Studiò organo e composizione al conservatorio di Parigi con Benoist e Halévy; ricevette inoltre insegnamenti da Gounod. Concorse senza successo al Prix de Rome, ma nel 1852 vinse il premio della Società ceciliana con un’Ode a Santa Cecilia, e a diciott’anni compose la sua prima sinfonia. Dal 1853 fu organista in chiese parigine (Saint-Merry, la Madeleine, Saint-Séverin) e dal 1861 insegnò per cinque anni all’École Niedermeyer, ove ebbe allievi Fauré e Messager. Organista di grande bravura, improvvisatore eccezionale e dal 1875 anche concertista di pianoforte, si fece conoscere con tournées in tutta Europa, nelle Americhe, in India e in Egitto, ricevendo consensi da parte dei più celebri virtuosi del tempo: A. Rubinstein, Clara Schumann, P. de Sarasate, e soprattutto Liszt, al quale fu particolarmente legato. Partecipò attivamente alla vita musicale di Parigi, e nel 1871, dopo la guerra franco-prussiana, fondò con R. Bussine e altri la Société nationale de musique con lo scopo di diffondere la musica francese contemporanea. Critico musicale su varie riviste e gazzette, fu polemista vivace ma non sempre coerente né particolarmente aperto alle novità; difese Berlioz, Bizet, Franck, mostrando invece incomprensione nei confronti di Debussy. Aderì in un primo tempo all’estetica wagneriana, da cui in seguito si staccò per ragioni nazionalistiche e nel nome di un ideale classico in cui intese ritrovare l’identità della musica francese. Il temperamento razionalistico e un certo gusto formalistico lo hanno talvolta fatto paragonare a Ravel: ma dal suo classicismo sono assenti quei caratteri di aspra essenzialità, deformazione ironica e intellettualistica raffinatezza che saranno invece propri dei neoclassici parigini del ‘900. L’ideale classico di S.-S. resta, sul piano stilistico come su quello ideologico, del tutto interno alle coordinate della musica ottocentesca e, per quanto nazionalisticamente motivato, in gran parte legato al modello di Mendelssohn. La predilezione per i soggetti mitologici e arcaici e certo scientismo di stampo positivistico (S.-S. fu tra l’altro un appassionato di acustica e di astronomia) lo accostano semmai al contemporaneo movimento parnassiano. Più che un rapporto nuovo con le convenzioni e le maniere classiche, S.-S. ricerca in queste la certezza delle forme stabili e collaudate: di qui il rischio del conformismo pedante e dell’accademismo frigido che incombe su non poche delle sue composizioni.
L’imponente produzione teatrale e sinfonica. La sua produzione, tra le più ingenti dell’Ottocento francese, conta oltre 165 numeri d’opus distribuiti in ogni campo, dal teatro alla musica sacra, dalla sinfonia alla musica da camera. Merito di S.-S. fu di avere ridestato in Francia, in un’epoca di predominio operistico, l’interesse per la composizione strumentale e sinfonica. Al teatro diede una quindicina di opere di soggetto antico e serioso, oscillante fra l’esotismo e la voga neo-greca diffusa dal Secondo Impero: Sanson et Dalila (Sansone e Dalila, rappresentata a Weimar nel 1877 per interessamento di Liszt), Henry VIII (1883), Proserpine (1887), Ascanio (1890), Hélène (1904), Déjanire (1911). Inoltre, varie musiche di scena (Antigone, Andromaca ecc.) e per il film L’assassinat du duc de Guise (1908). Nonostante lo scetticismo ostentato da S.-S. in materia religiosa, la produzione sacra conta alcuni lavori di grande respiro (4 oratori, fra cui Le déluge, 1876, e una Messa da requiem), oltre a 2 Salmi con orchestra e vari mottetti. Ma soprattutto imponente è la sua produzione strumentale, e particolarmente pregevole quella successiva al 1875, ove il formalismo appare riscattato da un gusto timbrico più corposo ed eccitato: si ricorda specialmente la Sinfonia in do minore con organo e 2 pianoforti concertanti (1886), ultima delle sue 3 sinfonie (due altre furono da lui distrutte). In campo sinfonico si contano ancora 4 poemi sinfonici (fra cui Danse macabre, 1874, in cui impiega tra i primi lo xilofono, e La jeunesse d’Hercule, 1877), e vari brani improntati a una vena turistico-esotica: Suite algérienne, Une nuit à Lisbonne e Jota aragonesa (1880); Rapsodie d’Auvergne (1884) e la fantasia Africa (1891) per pianoforte e orchestra; Havanaise (1887) e Caprice andalou (1904) con violino solista. Compose inoltre 5 concerti per pianoforte e orchestra (interessante l’ultimo, per la struttura ciclica, il virtuosismo strumentale e il colore esotico), 3 per violino e orchestra e 1 per violoncello, e altri brani da concerto per solista e orchestra (Introduction et Rondò capriccioso per violino, La Muse et le Poète per violino e violoncello, Wedding-Cake per pianoforte ecc.).
La musica per pianoforte e da camera. Una vena disimpegnata e salottiera predomina nella produzione per pianoforte solo (pezzi caratteristici, capricci, valzer e altre danze), a testimonianza di una certa decadenza di prestigio e status sociale dello strumento negli ultimi decenni del secolo in Francia. Altri lavori (fantasie, preludi e fughe) furono composti per l’organo, e una Fantasia per arpa. L’opera da camera di S.-S. spazia in una varietà di combinazioni strumentali: assai noto è il Carnaval des animaux (1886, contenente la Morte del cigno, resa celebre dal coreografo Fokine) per 2 pianoforti, archi, flauto, clarinetto, xilofono e armonica, alla cui esecuzione l’autore si oppose ostinatamente. Inoltre: il Settimino per tromba, pianoforte e archi (1881); un Quintetto (1858) e un pregevole Quartetto (1875) con pianoforte, 2 quartetti per archi (1899 e 1919); 2 trii con pianoforte (1869 e 1892); una Sérénade per violino, viola, pianoforte e organo (1865); 2 sonate e altro per violino e pianoforte; 2 sonate, una suite e altro per violoncello e pianoforte; 3 sonate rispettivamente per oboe, per clarinetto e per fagotto e pianoforte (1921). Infine, S.-S. scrisse musica corale profana e oltre 100 liriche per canto e pianoforte.
Gli anni di formazione. Figlio di un editore umanista, August S., noto per aver pubblicato un’edizione tascabile dei classici di tutto il mondo, crebbe in un ambiente familiare estremamente favorevole allo sviluppo dei suoi vasti interessi letterari e musicali, in un’epoca e in un clima nazionale percorsi dai fermenti del più schietto romanticismo. A sei anni iniziò privatamente la sua istruzione con l’arcidiacono Döhner; fu l’organista di S. Maria, J.G. Kuntsch, ad avviarlo allo studio della musica. Tre anni dopo il padre lo portò a Karlsbad ad ascoltare Moscheles, uno dei più grandi pianisti del tempo: e il piccolo Robert volle diventare pianista; il che non gli impedì di seguire con grande entusiasmo anche la poesia, durante gli studi ginnasiali iniziati nella città natale nel 1820. Il padre avrebbe voluto metterlo a scuola da C.M. von Weber, ma, per varie ragioni, il progetto andò in fumo. S. scrisse un Salmo per gli amici, e a sedici anni era già a capo di un sodalizio schilleriano. Lesse il Faust di Goethe, i romanzi di W. Scott, i poemi di Byron, e parve sul punto di tralasciare la musica per la letteratura. Preso dalla passione letteraria, tentò il romanzo e la tragedia. Ma un amore giovanile per la moglie di un medico di Colditz, Agnes Carus, gentile interprete dei Lieder di Schubert, lo riaccostò alla musica, ispirandogli alcune pagine liederistiche. Gravi lutti familiari l’avevano colpito nel frattempo: la morte della sorella Emilie malata di mente e la morte del padre. Da buon romantico, S. intraprese alcuni viaggi a Lipsia, a Dresda, a Praga e a Tepliz. Nel 1828, conclusi gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Lipsia. Mentre a Monaco frequentava Heine, a Lipsia era assiduo del salotto della Carus, frequentato fra gli altri da H. Marschner, da Wiedebein, organista e compositore apprezzato da Beethoven, da F. Wieck, un didatta che avrà influssi determinanti, positivi e negativi, sulla vita di S. In casa di Wieck conobbe la figlia di quest’ultimo, Clara, ancora bambina ma già attiva alle riunioni musicali. S. divenne allievo di Wieck per il pianoforte. Sempre più attratto dalla musica e dimentico dell’università, scrisse le Polonaises per pianoforte e alcuni Lieder. Nel 1829 si stabilì a Heidelberg, sperando di trovarvi il clima culturale di cui aveva bisogno il suo spirito inquieto e curioso. Lo stesso anno visitò l’Italia: fu a Milano, dove ascoltò la musica di Rossini interpretata da Giuditta Pasta, e a Venezia. Con l’aiuto di un giurista, il Thibaut, riprese con nuova lena a Heidelberg gli studi musicali, e nel 1830 si affermò come pianista eseguendo le Alexandervariationen di quel Moscheles che aveva suscitato i suoi primi entusiasmi. Impressionato da un concerto di Paganini a Francoforte, scrisse una famosa lettera alla madre comunicandole la propria decisione di abbandonare l’università per dedicarsi interamente alla musica. Lo aiutò Wieck, presso il quale si mise a pensione e studiò composizione, prima con K.G. Kupsch e poi con H. Dorn.
Le prime composizioni e l’attività critica. I due anni furono fecondi di lavoro (il suo nome cominciava a circolare con simpatia negli ambienti musicali; Rellstab e C. Grillparzer lodarono le sue Variazioni ABEGG e Papillons), ma anche alquanto dannosi per il suo fragile sistema nervoso. Un errato sistema per costringere le sue dita a più ampie articolazioni stroncò la sua carriera di pianista. Paralizzato temporaneamente alla mano destra, dopo la guarigione non poté più affrontare la tastiera con la sicurezza di un tempo. Sono di questo periodo gli Intermezzi op. 4 e le trascrizioni pianistiche dei Capricci dell’ammirato Paganini. Nel 1833 varcò le soglie ambitissime del Gewandhaus di Lipsia con un primo tempo di Sinfonia, rimaneggiamento di un pezzo eseguito l’anno precedente a Zwickau. I suoi interessi letterari, nel frattempo, erano tutt’altro che spenti. Accanto alla crescente attività compositiva non aveva mai trascurato l’esercizio della critica. Fondò la «Neue Zeitschrift für Musik», una rivista che egli stesso diresse e polemicamente redasse e che ebbe un’importanza fondamentale nella vita culturale non soltanto tedesca, costituendo un insuperato modello di critica musicale. La rivista, il cui primo numero uscì il 3 aprile 1834, fu subito seguita da Marschner, da Wagner, da Nicolai. Gli attacchi di S. ai «filistei della musica» divennero un emblema, quasi un manifesto per la nuova generazione musicale. Nel 1834, frequentando il salotto di Henriette Voigt, S. si innamorò di una giovane allieva di Wieck, Ernestine von Fricken. Fu un fuoco di paglia; dopo pochi mesi, il musicista si innamorò di Clara Wieck, la figlia del suo maestro, che sarà la devota compagna della sua vita e la grande interprete della sua poetica pianistica. Fu un amore contrastatissimo: il padre di Clara giunse, nella sua opposizione, a episodi di incredibile intolleranza.
Successi e contrasti della carriera a lipsia. Nel 1835 Felix Mendelssohn-Bartholdy era stato nominato direttore del Gewandhaus, inaugurando quella straordinaria stagione dell’istituzione lipsiense che vide, tra l’altro, la scoperta della musica di J.S. Bach. Tra Mendelssohn e S. nacque una profonda amicizia; S., che soleva dedicarsi separatamente ai vari generi compositivi, era allora nel pieno della sua produzione pianistica, caratterizzata da brevi pagine racchiudenti un compiuto e intenso mondo poetico. Del 1836 è la morte della madre; prostrato dal dolore, S. fu confortato da Clara, che tuttavia non poté assisterlo a lungo a causa dei suoi impegni concertistici in tutta Europa. Seguirono quattro anni di lotte con l’irriducibile Wieck, che non esitò a organizzare una campagna diffamatoria contro il futuro genero costringendolo persino a farsi proteggere dal tribunale. S., allora, aveva già molti estimatori, ma non godeva ancora del carisma dell’ufficialità; gli editori Haslinger e Diabelli avevano rifiutato di pubblicare le sue composizioni. S. si difese dalle accuse di inettitudine mossegli pubblicamente da Wieck conseguendo una laurea honoris causa all’università di Jena e scrivendo i suoi migliori Lieder. Il 12 settembre 1840, con la tutela del tribunale, poté finalmente sposare Clara. Nel periodo successivo si dedicò alle composizioni sinfoniche: nel 1841 nacquero Frühlings-Symphonie in si bemolle maggiore, Ouverture, Scherzo e Finale e una Fantasia per pianoforte e orchestra che diventerà il primo tempo del famoso e splendido Concerto in la minore. L’esecuzione a Dresda (1843) del Paradiso e la Peri segnò un riavvicinamento non più che formale con il suocero. Con quest’opera, e nello stesso anno, S. debuttò come direttore d’orchestra al Gewandhaus. Il periodo «sinfonico» era stato preceduto da un’intensa attività cameristica: i quartetti op. 41, il quintetto con pianoforte op. 44, il quartetto con pianoforte op. 47. Ai grandi risultati artistici di questi anni non corrisposero adeguati vantaggi finanziari. Nel 1844, Robert e Clara accettarono di compiere una tournée in Russia, sperando di risolvere una situazione che stava diventando preoccupante. La tournée procurò ai coniugi successi e festeggiamenti, ma gli incassi non furono quelli sperati. Inoltre S., a trentaquattro anni, cominciava a soffrire delle conseguenze di una salute precaria. Progettò di scrivere un’opera su Il corsaro, il poema di Byron che qualche anno dopo, nel 1848, fu messo in musica da Verdi; ma alla fine preferì volgersi verso il Faust di Goethe.
Le difficoltà dell’ultimo decennio. Non più in grado di sostenere l’impegno della rivista (che fu assunto da Fr. Bendel; anche Mendelssohn, nel frattempo, aveva lasciato il Gewandhaus), alla fine del 1844 S. abbandonò Lipsia per Dresda, dove incontrò Wagner; ma questi era troppo lontano dal suo mondo etico per diventare un amico. Faticosamente portò a termine la Seconda sinfonia, che venne eseguita il 5 novembre 1846. Recatosi a Vienna, fu deluso dal disinteresse per la sua opera; solo a Praga, con Clara, ottenne un vivo successo con il suo Concerto per pianoforte e orchestra. Parve che la volontà di lavoro s’impadronisse nuovamente di lui. In un periodo di intensa creatività scrisse Genoveva (1847-48), la musica per il Manfred di Byron, composizioni vocali, pianistiche, corali e alcune scene del progettato Faust. Ancora incompleta (sarà eseguita integralmente solo dopo la morte del musicista) l’opera andò in scena, auspice Liszt, a Weimar e a Lipsia per il centenario della nascita di Goethe; ancora a Lipsia, con buon successo, venne eseguita nel 1850 Genoveva. Stimato dagli intenditori, assai meno dal pubblico, S. non aveva il temperamento del divo; fu nominato a Düsseldorf direttore dei concerti, ma l’aspetto mondano del ruolo non gli si addiceva. In questo periodo nacquero tre fra le composizioni più note: il Concerto per violoncello e orchestra, la III («Renana») e la IV Sinfonia (1850-51). La sua salute era ormai irrimediabilmente minata. Tentò di riprendersi con un breve periodo di riposo a Scheweningen, dove ebbe ancora una gioia dalla sua tormentata esistenza: la visita, come risulta dal suo diario, del «signor Brahms di Amburgo», avvenuta il 30 novembre 1853. S. capì di poter riversare su quel giovane il suo bisogno di amicizia. Mendelssohn era morto; la sua mente, se ne rendeva conto, vacillava; Brahms era forse il giovane in grado di assumere la sua eredità spirituale. Nei tre anni che lo separavano dalla fine S. si dedicò, nella misura consentitagli dal suo essere sconvolto, a formare un nuovo musicista. Nel 1854, disperato, si gettò nel Reno; fu salvato da alcuni pescatori, ma il 4 marzo Clara fu costretta a internarlo nel manicomio di Endenich, vicino a Bonn. Morì due anni dopo assistito da Clara, da Joachim e da Brahms. Aveva quarantasei anni.
La poetica musicale, fra intimità e fervore romantico. Nella sua breve e infelice esistenza S. espresse una delle più pure testimonianze della cultura e della sensibilità romantiche. Cresciuto nell’ammirazione per Schiller, seppe tradurre in musica lo spirito di Byron e di Goethe con ammirevole coerenza. Nel pianoforte, lo strumento romantico per eccellenza, egli non vide, come Liszt, un mezzo per sbalordire le folle, ma scoprì (come Chopin, che S. stimava ed amava) le qualità più intime e riposte. Citiamo, tra le più alte creazioni del pianismo schumanniano: Papillons op. 2, Davidsbündlertänze op. 6, Carnaval op. 9, Fantasiestücke op. 12, 12 Études symphoniques op. 13, Kinderszenen op. 15, Kreisleriana op. 16, Fantasia in do op. 17, Arabeske op. 18, Humoreske op. 20, 8 Novelletten op. 21, Faschingsschwank aus Wien op. 26, 3 Romanzen op. 28, Album für die Jugend op. 68, Waldszenen op. 82, le Sonate op. 11, 14, 22. La sua personalità, il fervore del suo mondo poetico si rivelano in modo inequivocabile nell’ampia produzione liederistica, fra cui bisogna citare almeno i cicli op. 24 e op. 29: Frauenliebe und Leben (Amore e vita di donna) e Dichterliebe (Amor di poeta); ma anche il sinfonismo di S. ha una marca particolarissima. Tutta la sua opera creativa si vale della musica come il tramite privilegiato, ma non fine a se stesso, per esprimere una poetica implacabilmente cosciente e sincera, che nulla concede a facili suggestioni «estetiche» e si risolve in una sorta di appassionato e vibrante atto di fede.