Concerto per pianoforte n.1

Compositore: Johannes Brahms
Interpreti: Emil Gilels (pianoforte)
Orchestra: Berliner Philharmoniker
Supporto: Vinile LP
Numero supporti: 1
Etichetta: Deutsche Grammophon
Data di pubblicazione: 4 settembre 2015
EAN: 0028947951186
Vinili di Johannes Brahms
La formazione e l’incontro con Schumann. I rudimenti di musica impartitigli dal padre, suonatore di contrabbasso, e lo studio del pianoforte, effettuato con F.W. Cossel, gli permisero presto di guadagnarsi la vita in orchestrine locali. Approfondiva intanto, sotto la guida di E. Marxsen, lo studio della composizione. A vent’anni, nel corso di una tournée (accompagnava al pianoforte il violinista R. Reményi) conobbe J. Joachim che, già celebre, lo introdusse nei più influenti circoli musicali tedeschi. Se l’incontro con Liszt a Weimar (1853) lo lasciò indifferente, decisivo per la sua formazione fu quello con Schumann a Düsseldorf. Vedendo in B. una sorta di antidoto alla corrente «progressista» rappresentata da Liszt e Wagner, Schumann segnalò al pubblico il giovane musicista, in un vigoroso articolo sulla «Neue Zeitschrift für Musik» di quell’anno, come una promessa della nuova generazione. Negli anni successivi, la vita affettiva di B. fu segnata dalla profonda devozione per Clara Schumann, alla quale rimase vicino durante l’inguaribile malattia del marito (1854-56).
L’itinerario e la poetica. Il decennio 1853-62 fu un periodo di preparazione e di studio capillari: incoraggiato e affiancato dall’amico Joachim, B. coltivò esercizi di contrappunto sempre più ardui e si accostò alla tecnica degli strumenti in orchestra, allo scopo di allargare il suo orizzonte tecnico-stilistico, fino ad allora ristretto all’ambito dei Lieder e delle composizioni per pianoforte. È di questi anni un notevole gruppo di composizioni corali e per organo, spesso di eccezionale complessità tecnico-formale, alle quali fornì un rilevante contributo di esperienza l’attività svolta dal compositore, fra il 1857 e il 1859, presso la corte del principe di Lippe-Detmold come maestro di cappella. Nel 1859-62 B. approdò alle forme più impegnative della musica da camera: ricordiamo, in particolare, i 2 Quartetti con pianoforte op. 25 e op. 26, in cui la presenza dello strumento che B. conosceva meglio lo aiutò a risolvere problemi strumentali di tipo nuovo; allo stesso modo, le composizioni sinfonico-corali, come un Requiem tedesco (Deutsches Requiem) e Canto del destino (Schicksalslied), faranno più tardi da tramite alle sinfonie. Già nel 1854-58, in verità, B. si era cimentato col primo Concerto per pianoforte e orchestra op. 15: ma l’opera era stata così travagliata da dubbi e ripensamenti, che dovettero passare vent’anni prima che l’esperimento venisse ripetuto. Caratteri e organici strumentali quasi cameristici furono adottati in due lavori sinfonici successivi, le Serenate op. 11 (1857-58) e op. 16 (1859). Questo procedere metodico, per gradi, dalle forme più semplici a quelle più complesse, configura l’intera produzione di B. come una consapevole ascesa lungo una personale gerarchia di valori musicali, al cui vertice sta la sinfonia. L’esigenza, che B. avvertiva così profondamente, di sviscerare tutte le questioni tecniche e formali prima di sentirsi in grado di affrontare un nuovo genere, spiega la sua ripugnanza per la musica a programma e per quella teatrale, ch’egli doveva giudicare quasi come un compromesso mirante a schivare i problemi sostanziali della composizione. La sua devozione all’ideale della forma (le cui radici si connettono, d’altronde, all’eredità di Beethoven, situandosi al di qua della soglia romantica) e la sua fiducia che la musica possegga autonomamente, in assoluto, i germi della propria espressione, finirono col costringere B., suo malgrado, nella scomoda posizione di capo del partito conservatore degli antiwagneriani e dei classicisti. In realtà B. era alieno da ogni forma di polemica; senza contare che il contrapporsi delle fazioni derivava più dall’individualismo tipico dei grandi compositori romantici che da un’effettiva polarità di risultati espressivi (tant’è vero che la pretesa dicotomia non trovò alcuna conferma storica). Ciononostante, la polemica sopravvisse ai suoi maggiori protagonisti, trovando anche, dopo la morte di Wagner, una sorta di variante nella contrapposizione fra B. e Bruckner. Solo molto più tardi si cominciò a capire che ciò che accomuna B. al romanticismo ufficiale è più importante di ciò che lo separa, e a considerare la sua opera come l’altro versante di un’unica realtà espressiva. Una sorta di corrispettivo filosofico della musica di B. veniva proposto, intanto, dalla estetica formalistica di E. Hanslick, del quale il compositore divenne amico a Vienna. Fin dal primo viaggio, nel 1862, la vivacità di cultura e di vita della capitale austriaca affascinarono B., nato e cresciuto nelle provinciali città del nord. Nel 1863 egli vi stabilì la propria dimora definitiva, e il successo che in pochi anni riuscì a conquistarvi gli permise – dopo essersi dimesso dalla direzione della Wiener Singakademie (1863-64) e della Società degli Amici della Musica (1871-73), attività alle quali lo rendevano inadatto la sua natura violentemente sarcastica e la sua mancanza di diplomazia – di vivere dei soli proventi delle composizioni e delle frequenti tournées compiute, come pianista e come direttore delle proprie musiche, in varie città europee. Divenuto, negli ultimi anni, ancora più chiuso e intrattabile, morì, un anno dopo Clara Schumann, di cancro al fegato.
Lo stile pianistico brahmsiano. Nell’attività creativa di B. la composizione pianistica costituì, come già per Beethoven, una costante essenziale e un fondamentale banco di lavoro su cui preparare gli strumenti indispensabili per affrontare altri generi. Le tre sonate giovanili (1852-53) mostrano un B. duramente impegnato a costringere un temperamento impetuoso entro forme equilibrate: è una fase di accanita autocritica, che culmina in quel capolavoro di sapienza costruttiva e di esuberanza drammatica che è il primo Concerto per pianoforte. Nel periodo successivo (1856-63), mentre l’esigenza architettonica si trasferisce nelle composizioni corali e nei primi esperimenti cameristici, l’interesse pianistico si concentra piuttosto sui problemi dell’elaborazione tematica e della variazione. Le Variazioni su un tema di Händel op. 24 e le Paganini-Variationen op. 35 costituiscono il punto d’arrivo di questa ricerca; a esse faranno seguito, a dieci anni di distanza, le Variazioni su un tema di Haydn op. 56 in una doppia versione, per orchestra e per due pianoforti a 4 mani (1873). La variazione appare, in B., più elaborativa che sviluppatrice: trasfigura cioè profondamente il tema con un intenso lavoro armonico e ritmico, ma ne lascia integra l’essenziale configurazione melodica, agevolata in ciò, come in Beethoven, dalla scelta di temi semplici e incisivi. S’intrecciano con le Variazioni le 21 Danze ungheresi per pianoforte a 4 mani op. 35 (1858-69), ispirate a quella vena popolare che impronta le copiose raccolte di Kinderlieder (canzoni infantili) per canto e pianoforte (1858) e di Volkslieder (canzoni popolari) per coro a cappella o per voce e pianoforte (1858, 1864, 1894). Nell’ultima fase (1878-93) l’ideale supremo della sinfonia appare ormai conquistato e il pianoforte ha dunque esaurito la sua funzione propedeutica. È solo allora che B. si rivolge al genere delle confessioni pianistiche, dei brevi pezzi intimi, delle fantasticherie (Capricci, Intermezzi, Rapsodie), che era stato invece congeniale fin dall’inizio a Schubert, Chopin e Schumann. Lo stile pianistico di B. mostra, rispetto a quello del suoi predecessori, una profonda originalità; sue caratteristiche sono la robusta densità sonora, il sostanzioso lavoro della mano sinistra, il fitto movimento interno e la mobilità ritmica, un’ardua virtuosità tecnica poco incline tuttavia a manifestarsi all’esterno o a tradursi in volteggi brillanti. Gli stessi caratteri sono riscontrabili nella produzione per organo: sia in quella giovanile che negli 11 Preludi-corali del 1896, con cui B. inaugura un nuovo tipo di rapporto con ­Bach (meno accademico di quello di Mendelssohn), consistente nella rielaborazione dei procedimenti compositivi di fondo più che nel ricalco letterale delle forme.
La musica cameristica. Preparata dal pianoforte, la musica da camera di B. è dominata da un’esigenza di densità armonica e di pienezza sonora. È significativo che B. provi una necessità quasi costante di integrare con la tastiera la compagine degli archi; le parti si sviluppano in totale indipendenza melodica, generando un tessuto polimetrico e fitto di intrecci, con poderosi contrafforti armonici che emergono dal basso. Nella maturazione artistica di B. la produzione da camera si dispone in due blocchi, ben separati fra loro dalla Prima Sinfonia in do minore op. 68 (1876), dalla Seconda Sinfonia in re maggiore op. 73 (1877) e dalle 2 Ouvertures per orchestra. Il primo gruppo (1860-75) è segnato da una faticosa ricerca di equilibrio formale, continuamente messo in crisi da una prorompente foga sonora che urta contro le strutture classiche di stampo beethoveniano (Quintetto con pianoforte op. 34). Si avverte inoltre una certa persistenza dello stile pianistico, che in effetti costrinse B. a rifare una dozzina di volte i suoi primi 2 Quartetti per soli archi op. 51 (1873). A questo primo gruppo appartengono ancora il Trio per pianoforte, violino e violoncello op. 8, i Sestetti per archi op. 18 e 36, la Prima Sonata per violoncello e pianoforte op. 38, il Trio per violino, corno e pianoforte op. 40, il Quartetto con pianoforte op. 60 e il Quartetto per archi op. 67. Il secondo gruppo (1879-94) si intreccia dapprima con la Terza Sinfonia in fa maggiore op. 90 (1883) e la Quarta Sinfonia in mi minore op. 98 (1885) per raccogliere infine le ultime e forse le più alte espressioni dell’arte brahmsiana. Se le 3 Sonate per violino e pianoforte (op. 78, 100, 108) e la Sonata per violoncello e pianoforte op. 99 mostrano ancora qualche edonismo melodico, i Trii per violino, violoncello e pianoforte op. 87 e 101, gli ultimi 2 Quintetti per archi op. 88 e 111 (1882, 1890), il Trio e il Quintetto con clarinetto op. 114 e 115 (1891), le 2 Sonate per clarinetto e pianoforte op. 120 sono caratterizzati da una straordinaria pregnanza espressiva e da una profetica inquietudine armonica e timbrica.
La produzione vocale e sinfonica. Affiancato da una copiosa produzione corale (fra cui Rinaldo e Rapsodia con coro maschile e orchestra, 8 quartetti vocali con pianoforte intitolati Liebeslieder Walzer, molte composizioni corali senza accompagnamento strumentale, spesso in forma di Lied), il Requiem tedesco (1857-68) costituisce il primo tentativo di fondere in un’unica, solenne costruzione il coro e la massa orchestrale, anticipando l’attività sinfonica degli anni 1876-85. Pur restando, forse, al di sotto dei migliori risultati raggiunti nella musica pianistica, da camera e vocale (nel cui ambito devono ancora essere ricordati numerosi quartetti e duetti vocali e soprattutto i moltissimi Lieder per voce e pianoforte), le quattro sinfonie e le ouvertures Accademica op. 80 e Tragica op. 81, cui vanno aggiunti i Concerti con orchestra per violino in re maggiore op. 77, per pianoforte in si bemolle maggiore op. 83 e per violino e violoncello in la minore op. 102, costituiscono gli esiti più grandiosi e appariscenti dell’intera produzione brahmsiana. Più che mai evidente, in esse, è l’urgere parallelo dell’intenzione formale classicheggiante e della natura intimamente romantica del compositore; e la parentela con Wagner risulta molto più stretta di quanto i contemporanei, e lo stesso B., avessero mai supposto. Le strutture sinfoniche tratte da Haydn, Mozart e Beethoven e fondate sulla incisività dei contrasti e delle sezioni e su una chiara gerarchia di rapporti tematici e armonici, entrano in fecondo contrasto con la tortuosa mobilità e con l’ampiezza della frase melodica, che distende le opposizioni tematiche in un flusso continuo, mentre l’ampiezza del giro armonico, sovente spinto alle estreme possibilità tonali e mai rigidamente conclusivo, fa pensare, appunto, a Wagner assai più che a Beethoven.