Stelvio Di Spigno (Napoli, 1975)
Emilia
In mezzo a un fulcro di case sorgeva
il bosco sacro di pini e pianeti primigeni,
dove senza impazienza ci incontrammo,
qualche volta – dove tutta la città, nel rogo
del sole, veniva a trovarci, la sera benedetta.
E ora del sole tu hai la stessa faccia
lucente, la stessa veste con le frange
e il cappuccio, le scarpe con le fibbie,
la borsa e il mantello del sorriso.
Anche tu sei partita, puntando i piedi,
l’ultima volta che hai pensato alla vita,
che fu una stradina giovane di campagna,
dove venivi a fare il bagno con noi,
in agosto, profumando soltanto
di ricci di mare. E così ti ricordo,
povera nelle cose e nei gesti, giusta
in ogni azione, nelle parole di un sapere
che abbracciava, così flessibile, come
la stessa bontà non sa di essere.
Come resterai per sempre, ricordando
le patrie brevi dove fummo insieme,
Torregaveta, Napoli, Gaeta,
l’inverno seduti, l’estate in movimento,
gli occhi stranieri fissi alla verità
che il mondo non vuole più avere, perché
sei lontana e tuttavia perfetta, la piccola
donna che amava ogni cosa, dentro
la scia notturna di un cielo pacificato,
senza visioni, solo di carità, eterno.
(da Minimo umano, Marco y Marcos, 2020)