Buster Keaton nasce a Piqua, Kansas (Usa) il 4 ottobre 1895. Le sue doti eccezionali ed il suo stile unico e inimitabile come interprete hanno in parte oscurato il suo talento come regista cinematografico, qualità queste che possono in parte essere attribuite al fatto che fin dall’infanzia si trovò a dover risolvere problemi di messa in scena. Figlio di acrobati, Buster Keaton crebbe nell’ambiente del music-hall e del vaudeville (i suoi genitori viaggiavano in un “medicine show”), e all’età di tre anni Keaton si unì a loro come interprete di un numero.
Quando il padre si diede all’alcool e il team si sciolse, Keaton entrò a soli vent’anni, nel mondo del cinema come spalla-antagonista (dal 1917 al 1919 in ben quindici cortometraggi, con eccezione degli ultimi mesi di guerra durante i quali Keaton dovette prestar servizio militare) di Fatty Arbuckle. Nel 1920 aprì un suo studio, fidando sulle doti atletiche maturate nell’infanzia e su un minimo di conoscenze tecniche; circondatosi di persone fidate, iniziò a produrre con la loro collaborazione cortometraggi comici, fra i quali, tanto per citarne alcuni, “One week”, “Neighbours” e “Convict 13”.
Mano a mano che i suoi ruoli diveniva più importante il suo stile si raffinava. Nel 1919 Joseph Schenck formò una compagnia per la produzione di cortometraggi interpretati, scritti e diretti da Keaton. Il primo fu “The high sign” (1920), al quale seguì una lunga serie di film a “due bobine” che fu il meglio delle comiche di quei tempi a Hollywood, fra cui, sempre restringendo per questioni di sapzio i titoli citati, “The goat”, “The Playhouse” e “The boat”.
Nel 1920 Keaton recitò in un lungometraggio per la Metro, “The Saphead”, tratto dalla commedia teatrale “The new Henrietta”; solo tre anni più tardi iniziò una produzione propria di lungometraggi con “L’amore attraverso i secoli” (1923). La serie di film che seguirono avevano una consistenza di stile e delle qualità tecniche che rivelano il controllo creativo di Keaton. Tra i suoi film più significativi: “Accidenti che ospitalità” (1923), “La palla n. 13” (1924), “Il navigatore” (1924), “Seven Chances” (1925), “Io e la vacca” (1925), “Battling Butler” (1926), “Il Generale” (1926), “College” (1927) e “Io e il ciclone” (1928).
Keaton era al tempo stesso regista, sceneggiatore e attore. La maschera era quindi soltanto una delle componenti della sua arte; come sceneggiatore invece attende a soggetti in cui le gag discendono l’una dall’altra, secondo una data logica narrativa; come regista sfrutta trucchi di montaggio ed effetti ottici.
Con l’avvento del sonoro, Keaton si trovò legato alle nuove organizzazioni industriali di quei tempi, e dovette produrre attraverso la MGM. I metodi di lavoro dei grandi studi non gli furono congeniali e dopo la realizzazione di due altri film muti (“Io e la scimmia (1928) e “Spite marriage”(1929) ), la sua carriera iniziò a declinare anche se il suo talento rimase intatto. Dopo qualche film sonoro, cercò lavoro dove poteva senza fare grandi distinzioni. Keaton viene ridotto a attore comico di film dozzinali, e poi a spalla di altri attori. Di pari passo declina la sua vita privata: divorzi, dissesti economici, alcool. Trascorse un anno in una clinica psichiatrica. Per una dozzina di anni Keaton si aggira come un fantasma per gli studios di Hollywood, dirigendo, sceneggiando, interpretando, nell’anonimato o quasi.
Nel dopoguerra alcune brevi ma intense interpretazioni di alta classe lo riportano alla ribalta: il giocatore di poker di “Sunset boulevard” (Billy Wilder), il vecchio pianista di “Limelights” (Charlie Chaplin) e soprattutto l’uomo che cancella sé stesso in “Film” (l’unico cortometraggio del drammaturgo Samuel Beckett). La disperata assurdità del teatro di Beckett si sposa con la muta nevrosi della maschera keatoniana: Keaton nasconde lo specchio, straccia le sue fotografie, ed è solo nel vuoto (chiuso in una camera, ha orrore di sé stesso.
Solo verso la fine dei suoi anni, il riconoscimento della nuova generazione risollevò il suo spirito. La sua ultima interpretazione avvenne nel 1966 in “Dolci vizi al foro”.
Spesso, nelle interviste che l’attore ha concesso, gli è stata chiesta la ragione della sua inossidabile serietà. Lui, serissimo, snocciolava il seguente aneddoto: “Uno degli uomini più comici che io abbia mai conosciuto era un attore del vaudeville. Si presentava al pubblico come “il grande uomo triste”. Non ne ho mai visti di più divertenti”. Per quelli che non si accontentavano della spiegazione Keaton aveva in serbo una chiosa: “Realizzare film comici è un lavoro serio. Se un attore si mette a ridere sullo schermo è come se dicesse allo spettatore che non deve credere a quello che vede, in quanto non è serio. Io ho esordito nel varietà, dove a furia di beccare torte in faccia ho capito una cosa, che quanto più mi mostravo indifferente e quasi stupito dell’ilarità del pubblico, tanto più quello rideva. Insomma, c’è il tipo di comico che cerca di entrare in confidenza col pubblico, di far ridere il pubblico con sé. Per quel che mi riguarda, il pubblico ride di me”, tornando alla domanda iniziale: “Non ci trovo proprio niente da ridere”.