Si collocano a metà tra l’astratto e il figurativo le opere di Giuseppe Adamo (Alcamo, 1982), elegante pittore siciliano di trentott’anni. Il suo percorso comincia all’Accademia di Belle Arti di Palermo e si può dire che non abbia mai abbandonato la Sicilia, dal momento che l’artista ha mosso sull’isola le sue prime esperienze (qui ha partecipato alla sua prima collettiva, la seconda edizione della mostra Nervi saldi. Le officine dell’arte, svoltasi nel 2006 ai Cantieri Culturali della Zisa, e ha tenuto la sua prima personale, intitolata Costellazioni 02. Sopralluoghi, alla Galleria dell’Arco di Palermo), e che vive e lavora a Palermo, pur essendosi fatto notare in Italia e all’estero.
Quella di Giuseppe Adamo è una pittura che non avverte necessità narrative, in tutti i sensi: non c’è volontà di rappresentazione. Vediamo delle superfici, che ci appaiono quasi come mappe, come paesaggi, come agglomerati rocciosi, e la loro straordinaria particolarità sta nel fatto che le increspature sembrano emergere dalla tela, con una fortissima sensazione di tridimensionalità. Ci si gira attorno, si cerca di capire se quella che si ha davanti è una scultura e non un dipinto: in realtà, quelle di Giuseppe Adamo sono superfici perfettamente piane, bidimensionali, senza alcuno spessore. L’artista riesce a ottenere questo effetto con un uso sapiente delle velature di colore, che affonda le radici nell’arte del Rinascimento (i paesaggi di Giorgione sono tra le sue fonti d’ispirazione): il colore, che giunge dopo un disegno preliminare, è steso su diversi strati con una pittura molto liquida, e sul colore intervengono trasparenze e calibratissime modulazioni di luce che dànno luogo all’effetto d’illusionismo finale.
Si tratta per lo più di dipinti monocromatici: variazioni sul verde, sull’ocra, sul marrone. Che concorrono a creare universi dove l’osservatore si diverte a trovar quello che vuole: una superficie lunare, un campo arato, un paesaggio montuoso, un bosco visto dall’alto, la trama di una stalattite, un non meglio specificato insieme di micro-organismi. Oppure, più semplicemente, le capacità sorprendenti di un pittore in grado di giocare coi piani, con la luce e coi colori per dar luogo a composizioni che sfidano la percezione di chi le osserva: Giuseppe Adamo, del resto, è affascinato dal modo in cui le idee e i preconcetti delle persone vacillano al cambiare della percezione.
Quello di Giuseppe Adamo, ha scritto Massimo Mattioli che ne ha curato la più recente personale (Landing, tenutasi nel 2019 alla galleria veneziana Marignana Arte), è “un approccio originale, impossibile da associare a modelli evocativi”: Adamo è artista che individua “nella dissimulazione, nell’ambiguità e nella mimesi i territori elettivi del suo atto creativo e del suo interfacciarsi con il mondo”, che “pone l’osservatore davanti a un’intrigante sinestesi percettiva in cui tutto si confonde, spingendolo a cercare una personalissima e stimolante sintesi visuale”, e che giunge a uno “straniamento dalla realtà che lo porta a costruire una realtà altra e sovrapposta”. Si è anche parlato di “non astrazione” per riferirsi all’ambivalenza della pittura di Giuseppe Adamo.
I monocromi non rappresentano naturalmente gli unici motivi dell’arte di Giuseppe Adamo, anche se è su questi che si concentra per lo più la sua produzione più recente. Ci sono anche paesaggi che esprimono la volontà di evocare una sensazione (per esempio The morning after your death, opera del 2018 dove il tipico procedimento di Giuseppe Adamo viene adopertato per offuscare d’una nebbiolina acquosa un delicato paesaggio collinare, e per richiamare tutte le sensazioni del caso, operazione in certo modo facilitata dal titolo scelto dal pittore: vale infatti la pena ricordare che Adamo abbina molto spesso dei titoli piuttosto eloquenti alle sue opere) e nelle prime fase della carriera ci sono anche filoni di ricerca sulla figura umana, per esempio nei Bedtime sketches del 2011 (“schizzi da letto”, eseguiti direttamente sotto le coperte, con figure disegnate velocemente, come se emergessero da visioni oniriche), o nei collage dai quali già emerge quel senso di tridimensionalità e di illusione ottica che caratterizza la produzione più recente e celebre dell’artista siciliano.
Certo è che una pittura così aniconica richiede, anche da parte del riguardante, una certa disposizione: “silenzio e lentezza”, scriveva nel 2016 il critico Sergio Troisi che, recensendo su Repubblica la mostra di Adamo alla Galleria Rizzuto Arte, accostava i suoi paesaggi alle Carte di Corrado Cagli (in realtà olî su tela che raggiungevano strabilianti effetti mimetici, imitando fogli accartocciati). “Una poetica del sublime, quella dell’artista palermitano affermatosi di recente come una delle presenze più interessanti del panorama artistico non solo siciliano, giocata sull’ambivalenza percettiva tra la resa del colore in superficie e l’illusione persino virtuosistica della tridimensionalità e dello spazio”. Da guardare cercandone il senso a partire dalla meticolosa tecnica del pittore.