Responsabilità e controllo
Agli scienziati non è stata data molta retta quando lanciavano allarmi sulle drammatiche conseguenze del riscaldamento globale. Da anni si svolgono conferenze delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico (le “COP”), tutte conclusesi con roboanti promesse e nessun impegno concreto: abbiamo continuato indisturbati a produrre CO² e scaricare gas nell’atmosfera.
Ma gli allarmi degli scienziati sull’epidemia e sulla terribile contagiosità del virus sono stati subito ascoltati, misure drastiche sono state decise in breve tempo, sospendendo produzione economica e diritti civili, con provvedimenti mai presi in precedenza, nemmeno in tempi di guerra. (Ma grazie alla sospensione dell’attività anche l’inquinamento è calato notevolmente). Non solo. A lungo per esempio si è parlato di sospendere le partite di calcio, per i casi sempre più frequenti di violenza e cori razzisti dagli spalti. Ma nessuno aveva mai osato arrestare quella fabbrica di denaro che è il calcio professionistico. Ci è riuscito il coronavirus, a fermare tutti i campionati.
Costretti al distanziamento fisico, siamo ricorsi alla tecnologia, a internet, allo “smart-working”, ai servizi online, obbligandoci alla costante connessione alla rete. Abbiamo scoperto così il valore dei contatti diretti, provato nostalgia per gli abbracci, persino per le strette di mano. Probabilmente molte pratiche introdotte durante l’emergenza diverranno consuetudine, com’è accaduto spesso in passato. Il telelavoro è già una realtà per molte aziende, ma se verrà esteso com’è stato durante il lockdown, senza contatti personali ma solo virtuali, dovremo affrontare nuove abitudini e nuovi bioritmi. Lavorando da casa, senza andare in ufficio, senza pranzare in mensa coi colleghi, senza chiacchiere alla macchinetta del caffé, con riunioni solo in videochat, perdiamo gran parte della comunicazione, quella non verbale, fatta di mimica e linguaggio dei gesti. Avremo bisogno di case con spazi progettati per lavorare. Contratti e sicurezza sul lavoro dovranno essere riconsiderati. Scuole e università daranno sempre più lezioni online, senza contatti fisici tra studenti e tra docenti. Forse anche i programmi televisivi continueranno ad avvalersi di video domestici, molto meno costosi senza “troupe” e studi di registrazione.
In momenti di crisi ci sono sempre scelte difficili da fare. A quella tra isolamento nazionalista e solidarietà globale abbiamo già accennato. Un’altra scelta importante è quella tra sorveglianza dall’alto e responsabilizzazione dei cittadini. In questi mesi ci siamo dovuti sottoporre a esperimenti sociali su larga scala, che governi e aziende non condurrebbero mai in tempi normali. I provvedimenti presi per fronteggiare il virus sono stati, sono tuttora, necessari. Il distanziamento fisico e l’uso di protezioni sono indispensabili e vanno accettati se vogliamo sconfiggere il virus. Più rigidamente seguiremo le raccomandazioni, più velocemente porremo fine all’emergenza.
Se manca la disciplina, i governi sono costretti a tracciare e monitorare i cittadini usando tecnologie che alcuni vedono come attacco alla privacy. Ma i controlli non devono andare per forza a scapito della vita privata, che non ne è minacciata più che con le transazioni online, i cellulari perennemente connessi o i selfies postati ogni istante sui social. C’è modo di godere sia della privacy che della salute: la storia della civiltà è piena di progressi in questo senso. Controllo centralizzato e punizioni non sono l’unico modo per far rispettare le regole. L’importante è saper comunicare: una popolazione informata è più motivata e si comporta correttamente anche senza venire controllata. Ad esempio, lavarsi le mani col sapone è stato uno dei più grandi progressi nell’igiene umana, che diamo per scontato. Ma solo nell’Ottocento se n’è scoperta l’importanza: sino ad allora, persino medici e infermieri passavano da un intervento chirurgico all’altro senza lavarsi le mani. Oggi miliardi di persone si lavano le mani quotidianamente, e non per paura delle multe; solo con la conoscenza e con la fiducia nei confronti della scienza e dell’autorità si ottiene adesione e cooperazione.
(2 – Continua)