Il successo
Non mancano tecniche per (cercare di) passare avanti e guadagnare posizioni nelle code. C’è chi, con fare ingenuo, passa davanti a tutti, si avvicina allo sportello giustificandosi con “solo una domanda!” e poi, una volta concessa la domanda, si accomoda, si allarga e si gode il successo per tutto il tempo necessario, tra il borbottìo di chi è rimasto dietro.
Ma vale davvero la pena borbottare? E, soprattutto, vale davvero la pena dannarsi e affannarsi per guadagnare un po’ di metri, qualche minuto di esistenza? Per farne cosa? Abbiamo già esposto molte ragioni a favore dell’ozio, scomodando pure Stevenson e Einstein, arrivando persino a spiegare come la civiltà umana sia sorta anche un po’ grazie ai tempi morti dell’ozio.
Ma anche i tempi dell’attesa possono fruttare, alla lunga (sennò che attesa è?) e arricchirci più di quanto pensiamo. Proviamo a ricordare i tempi della scuola, della gioventù: che cosa richiamiamo più volentieri alla memoria, del nostro passato? Sinceramente, più che le ore di studio e di lavoro, i miei ricordi preferiti sono di quando ho trasgredito orari e ritmi, sono i momenti in cui ho oziato, bighellonato e, certo, anche aspettato. Insomma, quando non mi sono lasciato travolgere dagli impegni, dal dovere, dall’obiettivo di un risultato a tutti i costi. Quando non sono stato assillato dal successo.
In fin dei conti, che cosa è il “successo”? Chi vive freneticamente, in costante movimento “produttivo”, incapace di stare fermo in ozio o in attesa, dimostra scarsa voglia di vivere davvero la propria vita. La capacità di stare in ozio e di pazientare implicano un forte senso d’identità personale e di autostima (“io sono io, qui e adesso, indipendentemente da ciò che faccio e da quello che posseggo”). Non è poi così sicuro che i nostri impegni siano la cosa più importante, tanto per noi stessi quanto soprattutto per il resto del mondo. Nessuno di noi è indispensabile. Il mondo non si dispererà se aspetto un aereo senza sbrigare il mio business nella “vip lounge”, o se arrivo con mezz’ora di ritardo ad un appuntamento per colpa del traffico. E non dovrei piangerci su nemmeno io. Il passato è pieno di personaggi saggi ed eroici (artisti, scienziati, ricercatori, filantropi…) che hanno contribuito al miglioramento dell’umanità, completamente ignorati dai contemporanei, che consideravano il loro ruolo solo come ozio inutile e gratuito, e che solo in seguito la Storia ha riscattato.
Un articolo letto qualche tempo fa sosteneva che, siccome gli studi umanistici offrono meno opportunità di lavoro, i giovani farebbero meglio a indirizzarsi verso facoltà scientifiche ed economiche. Vero. Ma anziché dare questo suggerimento, dando per scontata la priorità economica e finanziaria, si dovrebbe cercare invece di invertire la tendenza e restituire alla sfera umanistica il ruolo e il valore che le spettano. Tanto più che anche la cultura alla fine genera un business non indifferente, grazie al turismo. Ci vorrebbero comunque più finanziamenti pubblici, visto che il pubblico per definizione dovrebbe preoccuparsi dell’interesse di tutti, paganti e no. Come le vecchie sale d’aspetto. Ai clienti paganti ci pensano già le “vip lounge” e il mercato. Quel Mercato che considera inutile tutto ciò che non produce denaro e profitto. Purtroppo oggi nulla è apprezzato se non ha un valore economico quantificabile. Chi riceve un favore non prova molta gratitudine, se quel favore non è costato fatica e disagio. Ma allora, che cosa sono l’amore e l’amicizia? Forse ha dunque senso solo amare una persona ricca, che ci darà benessere economico, o essere amici dei potenti, per proprio tornaconto personale?
Il vero amore e la vera amicizia non hanno interessi, sanno “perdere” tempo gratuitamente per la persona amata e per l’amico, sanno aspettare, non hanno paura dell’ozio. Ecco, forse potrei concludere affermando che la capacità di oziare e di attendere sono anche il sintomo della capacità di amare, della disponibilità e del desiderio universale verso la vita e il mondo.
(4 – Fine)