Un “piccoli” omaggio al grande MIchel

Corpo apollineo con licenze dionisiache, fu l’attore feticcio di Marco Ferreri, dai capolavori Dillinger è morto (1969) e La grande abbuffata (1973) passando per L’udienza, La cagna, Non toccare la donna bianca, L’ultima donna e Come sono buoni i bianchi (1988): organismo nichilista e ordigno bellico insieme, è chiamato a far implodere il dispositivo borghese, il Sistema che alimenta se stesso e cannibalizza il resto.

Non è dissimile quel che gli chiese Luis Buñuel, che lo volle ne La selva dei dannati (1956) e altre cinque volte, Il diario di una cameriera (1964), Bella di giorno, La via lattea, Il fascino discreto della borghesia e Il fantasma della libertà (1974): alla voce “segni particolari”, gli ultimi due non sarebbero dovuti mancare alla carta d’identità di Piccoli, che pure rifugge le classificazioni.

C’è nei suoi lavori uno scarto tra il visibile e l’ineffabile, il detto e l’invisibile, ed è in questo slittamento di sensi il senso ultimo delle sue prove: savoir-faire, minaccia garbata, pericolo felpato (l’esordio è proprio Silenziosa minaccia, in originale Sortilèges, nel 1945), indossa sovente l’elusività e l’indecifrabilità del Potere, e non fa prigionieri, nemmeno in platea. Origini ticinesi, natali parigini il 27 dicembre del 1925, viene da una famiglia di musicisti, il che forse spiega l’andamento sinfonico della carriera. Consacrazione internazionale con Il disprezzo di Jean-Luc Godard, la complicata trasposizione da Alberto Moravia del 1963, ha felice consuetudine anche con Claude Sautet, per cui cala il poker L’amante (1970), Il commissario Pelissier, Tre amici, le moglie e (affettuosamente) le altre, Mado (1976), e Manoel de Oliveira, per cui collabora in Party (1996), Ritorno a casa, Specchio magico, il sequel di Bella di giorno Bella sempre e Rencontre unique (2007).

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