Un triangolo d’amore, di poesia e di lettere quello tra Marina Cvetaeva, Boris Pasternak e Rainer-Maria Rilke.
La Cvetaeva e Pasternak sono coetanei, lei è nata nel 1892, lui nel 1890, frequentano gli stessi circoli letterari di Mosca, ma si ignorano completamente.
Nel 1922, quando Marina lascia la Russia, Boris legge la sua raccolta di poesie “Verste”: “Fui subito conquistato dalla potenza lirica della forma(…)”. Le scrive. Scoprono di avere molte cose in comune, la professione dei genitori, i padri insegnanti, le madri pianiste della scuola di Anton Rubistein. La stessa passione per la letteratura tedesca. E’ l’inizio di un’intesa unica e speciale. Sono lontani nella vita, ma vicinissimi nell’anima:“Oh, Marina, come vi amo! Con quanta libertà, naturalezza, con quanta preziosa chiarezza! Come vorrei la vita con voi! E prima di tutto quella parte della vita che si chiama lavoro, crescita, ispirazione, conoscenza”(…)
Quando nella primavera del 1926 Boris attraverserà una profonda crisi creativa, è lei che lo supporta e lo spinge a credere in sé: “Ecco, in questo non ti capisco: abbandonare la poesia. E dopo, cosa? Gettarsi da un ponte nella Moscova? Amico caro, con la poesia è come con l’amore: bisogna starci finché non è lei stessa a lasciarci. Si è servi della lira poetica”.
Nel maggio dello stesso anno, al dialogo epistolare tra la Cvetaeva e Pasternak, si aggiunge la voce del grande poeta austriaco di origine boema, Rainer-Maria Rilke.
L’occasione è un biglietto di auguri che il padre di Boris invia a Rilke, vecchio conoscente, per il suo cinquantesimo compleanno. Nella lettera di risposta Rilke scrive di aver letto delle poesie “molto notevoli” di Boris.
Pasternak invia a Rilke una lettera di ringraziamento e gli parla della Cvetaeva – una poetessa che vi ama non meno e non diversamente da me […] un poeta innato, di grande talento – e prega Rilke di volerle fare dono di un libro con dedica. Rilke invia, dunque, alla Cvetaeva i suoi “Sonetti a Orfeo” e le sue “Elegie duinesi” con questa dedica: “ A Marina Ivanovna Cvetaeva. / Ci sfioriamo. Con cosa? Con le ali. / Traiamo da lontano la nostra parentela./ Solo è il poeta. E chi porta lui / incontra i tempi che portano”.
Lei le risponderà in tedesco, la lingua appresa nella sua infanzia dalla madre: “Voi, poesia fatta carne, dovreste sapere che il Vostro stesso nome è già poesia.”
Dall’estate del ’26 i tre poeti si scriveranno febbrilmente per circa sei mesi. Vivono lontani, Marina è in esilio nel sud della Francia, Pasternak si trova in un piccolo appartamento nella Russia postrivoluzionaria e Rilke, malato di leucemia, nel sanatorio di Val-Mont in Svizzera. Sono uniti dalla poesia, ma anche dalla miseria dell’esilio, dall’isolamento, dalla malattia. “Ciascuno di loro doveva fare fronte a una forma tutta sua di angoscia – la morte imminente, l’esilio, l’alienazione – e i loro scambi epistolari divennero un modo per sottrarsi alla solitudine e rifugiarsi nell’atmosfera rarefatta e fortemente elitaria della poesia e della passione letteraria.” (Michela Tartaglia, Lo strepitoso triangolo epistolare del 1926: Pasternak, Cvetaeva, Rilke).
Si raccontano la vita quotidiana, criticano i reciproci scritti, si fanno dichiarazioni d’amore, si perdono in incomprensioni e gelosie.
“Quando penso all’ora della mia morte penso sempre: la mano di chi prenderò nella mia? e: soltanto la tua mano! non voglio né sacerdoti né poeti, voglio chi per me soltanto conosce le parole (…). Voglio le tue parole, boris, da portare in quella vita!” (Cvetaeva a Pasternak).
“Rainer, viene buio, ti amo. L’ululo di un treno. I treni sono lupi, e i lupi – la Russia. Non un treno, la Russia. Non un treno – tutta la Russia sta ululando per te, Rainer. Rainer, non arrabbiarti, oppure arrabbiati quanto vuoi – ma stanotte io dormirò con te (…). Il letto è un vascello, e noi partiamo per un viaggio.” (Cvetaeva a Rilke).
Nel sanatorio svizzero dove Rilke è ricoverato, i giorni passano in attesa di quelle lettere. Il poeta sta morendo, forse a causa delle sue condizioni di salute risponde con passione e ambiguità.
“Il treno, Marina, Quel treno (con la Tua lettera precedente) al quale hai poi negato fiducia, ha corso fino a me a perdifiato(…) sì, sì e ancora sì, Marina, tutti i sì possibili per tutto ciò che vuoi e sei, così grandi che presi insieme sono come il sì della vita stessa…ma nel quale ci sono anche quei diecimila imprevedibili no…” (Rilke a Cvetaeva). E lei, che non vede in Rilke l’uomo reale che sta morendo, ma un compagno d’anima, continua nell’estasi lirica: “Tu sei sempre in viaggio, non vivi in nessun luogo e incontri russi che non sono io. Ascoltami. E ricordalo nel tuo Paese. Soltanto io sono la Russia.”
Finchè Cvetaeva e Pasternak decideranno di far visita a Rilke in Svizzera, ma, purtroppo, non faranno in tempo. Il poeta muore il 29 dicembre di quello stesso anno.
E’ Marina a comunicarlo a Boris: “Boris! Rainer Maria Rilke è morto. Non so la data – tre giorni fa, circa. […] Boris, non andremo più da Rilke. Quella città non esiste più”.
Per Cvetaeva, una fine incomprensibile e inaccettabile, tanto da volergli scrivere un’ennesima lettera: “L’anno finisce con la tua morte? fine? inizio! sei tu a te stesso l’anno più nuovo. – caro, lo so, tu mi stai leggendo ancora prima che io scriva – Rainer, ecco, sto piangendo, sei tu che mi sgorghi dagli occhi. Caro, se tu sei morto – vuol dire che non esiste nessuna morte (o nessuna vita!). Non voglio rileggere le tue lettere, altrimenti mi verrà voglia di raggiungerti, di venire là – e non oso volerlo: tu sai bene che cosa è legato a questo “volere”. Rainer, ti sento immancabilmente dietro la mia spalla destra. Hai mai pensato a me? – sì, sì, sì – Domani è l’anno nuovo, Rainer – il 1927…come sono infelice ma non devo affliggermi! stanotte, a mezzanotte, brinderò con te – tu sai come, colpirò il tuo bicchiere piano piano! – (…)Bellevue 31 dicembre 1926 – 10 di sera. Rainer, sei ancora sulla terra, non è ancora passato un giorno intero.”
La relazione epistolare tra Cvetaeva e Pasternak, che prosegue per altri nove anni, andrà gradualmente esaurendosi soprattutto dopo l’incontro del 1935 a Parigi, tanto a lungo agognato, ma rivelatosi profondamente deludente: “[L’incontro] c’è stato e… che non-incontro si è rivelato!” (così la Cvetaeva in una lettera all’amica poetessa Anna Teskova).
Nel 1939 la Cvetaeva ritorna in Russia. Il marito e la figlia sono stati arrestati, lei è disperata, vive con il figlio in miseria. Nel 1940 Pasternak tenta di trovarle un lavoro presso l’Unione degli scrittori:“La conosco come persona intelligente, in grado di sopportare molto, e non riesco ad ammettere l’idea che si accinga a qualcosa di estremo e irreparabile”.
Non sbaglia Boris, Marina infatti scrive: “Nessuno vede, nessuno sa che già da un anno cerco con gli occhi un gancio, non ne trovo, perché ormai l’elettricità è arrivata ovunque. Non ci sono più i lampadari di una volta… È un anno che mi misuro addosso la morte. È tutto così mostruoso, così terribile … E io non voglio morire. Voglio non essere…”
L’anno dopo, l’ultima sera di agosto, trova il “gancio”che cerca da tempo e si impicca.
Pasternak muore il 30 maggio del 1960. Nel suo portafoglio viene trovata una busta spedita dalla Cvetaeva. All’interno due foglietti. Il primo è un breve biglietto per lui da parte di Rilke: “Che abbiate potuto consacrarmi un così grande posto nella Vostra anima, va a gloria del Vostro cuore generoso. Che ogni benedizione scenda su di voi. Vi abbraccio”. Nel secondo foglio la Cvetaeva ha trascritto alcune parole di Rilke che lo riguardano: “Sono così commosso dalla forza e dalla profondità delle sue parole che oggi non riesco a scrivere più nulla: ma mandate il foglio qui accluso al Vostro amico di Mosca”.
Pasternak conserva tutta la vita quei due foglietti. Sulla busta una scritta: “la cosa più preziosa”.
Bibliografia:
1. Cvetaeva Pasternak, Rilke – Il settimo sogno Lettere 1926 Editori Riuniti (prima edizione 1980, seconda 1994 ) a cura di K. Azadovskij, Elena e Evgenij Pasternak. Trad. Serena Vitale, Editori Riuniti l994 (II ed.)
2. Marina Cvetaeva – Io sono l’amore a cura di Lidia Castellani Edizioni Clichy