Detrattori e favorevoli
Il fatto che la comunicazione sia una delle conquiste fondamentali da difendere, è dimostrato dalla sua evoluzione nel corso dei secoli, che ha seguito uno sviluppo parallelo a quello della libertà e della democrazia.
Intanto, non è concepibile alcuna cultura senza comunicazione: comunicare è un bisogno fondamentale per molti esseri viventi in Natura, tanto più per gli uomini, che hanno sviluppato la propria civiltà sulla comunicazione. Così come le società umane si sono evolute dalle prime comunità preistoriche alle moderne democrazie globali, anche la comunicazione si è sviluppata in diverse direzioni, da quella individuale (singolo a singolo), a quella dal singolo (normalmente un’autorità) al gruppo, alla comunità, poi da gruppo a gruppo, ma anche dalla dimensione locale a quella globale, soprattutto grazie a invenzioni epocali come stampa, telegrafo, telefono e all’accelerazione tecnologica dell’ultimo secolo.
Non è un caso che l’Uomo abbia sentito tanto l’esigenza di comunicare sempre più e sempre meglio. Nella comunicazione si sono succedute quattro tipi di culture, nell’arco di seimila anni: la cultura orale (il linguaggio parlato), la cultura manoscritta (la scrittura), la cultura tipografica (la stampa) e la cultura dei media elettronici con informazioni inviate sempre più rapidamente attraverso “mass media”, come la radio e la televisione.
Oggi siamo nell’epoca dei “social media” che, a differenza dei “mass media”, permettono al pubblico, alla massa, non solo di ricevere le comunicazioni ma anche di trasmetterle agli altri. Dopo il “pochi a pochi” e il “pochi a molti” siamo quindi passati ora al “troppi a troppi”. Con tutto quel che ne segue, di cui dicevamo, che suscita un violento dibattito tra favorevoli e contrari, tra chi odia i social e li vede come il male assoluto e chi invece li considera come un’inevitabile evoluzione e ne sottolinea i pregi.
Non è la prima volta che accade. Ogni volta che si è verificata una delle suddette rivoluzioni, gli uomini si sono divisi in due fazioni: da un lato i detrattori, che ritenevano ogni nuova tecnologia come apportatrice di danni irreparabili; dall’altro i favorevoli, che ne vedevano soprattutto i benefici. Il primo celebre detrattore fu il filosofo greco Platone, che criticò aspramente la scrittura vedendo in essa un ostacolo all’esercizio della memoria e dunque allo sviluppo intellettivo dei giovani.
Con l’invenzione della scrittura si allargarono infatti i tempi della comunicazione, fu possibile conservare i messaggi e lasciarli ai posteri, senza doverli memorizzare di generazione in generazione. Inizialmente la scrittura dei Sumeri fu adoperata solo per l’amministrazione e la contabilità, solo in seguito fu usata per raccontare eventi storici e per la letteratura. La nascita della scrittura liberò dallo sforzo di memorizzare testi e versi e consentì anche il sorgere di nuove scienze come la filosofia e la logica.
Poi, con l’invenzione della stampa si moltiplicarono i messaggi, estendendo in teoria illimitatamente il raggio delle informazioni. I libri, una volta stampati, venivano diffusi con lo stesso testo e anche per questo la stampa assunse un ruolo fondamentale nella nascita delle lingue nazionali, e quindi anche delle identità nazionali. La diffusione dei libri ridusse l’importanza del ruolo del maestro, creando la figura dell’autodidatta: nella seconda metà del Quattrocento si stamparono oltre trentamila libri in 20 milioni di copie. Anche allora ci furono i detrattori, come Leibniz che nel 1680 si preoccupava di “un’orribile massa di libri che cresce incessantemente senza controllo”. E la pubblicazione di libri sugli argomenti più vari si scontrò con la censura, soprattutto ad opera della Chiesa che creò l’indice dei libri proibiti.
La stampa consentì anche la nascita dei primi giornali, che con il perfezionamento della tecnica diventarono quotidiani. Anche per i giornali ci furono favorevoli e contrari. Uno dei più grandi sostenitori del giornalismo fu Thomas Jefferson che scrisse: «Se fossi costretto a scegliere fra un governo senza giornali, o giornali senza un governo, non esiterei a preferire la seconda scelta». Mentre invece Honoré de Balzac controbatteva: «Se la stampa non ci fosse, bisognerebbe soprattutto non inventarla. Il giornalismo è un inferno, un abisso d’iniquità, di menzogne, di tradimenti, che non possiamo attraversare, e dal quale non possiamo uscire puliti».
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