Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre,
ma non potete ingannare tutti per sempre
(Abraham Lincoln)
Mussolini si affacciava dal balcone di Piazza Venezia. Berlusconi si accontentò del predellino di un’auto, ma entrò anche spesso nelle case degli italiani attraverso il piccolo schermo, come proprietario di canali televisivi.
Ora come allora la politica continua a vivere di attenzione mediatica, anche se adesso cerca seguaci e consensi sui “social media”. Sono cambiati anche i contenuti. Le regole della comunicazione politica sono state stravolte, assimilate sempre più al marketing. Non c’è più bisogno di avere progetti, programmi, strategie; meglio non analizzare, né tanto meno risolvere conflitti, rabbia e problemi quotidiani della gente. È più conveniente cavalcarli, accentuarli, condividerli, per poter “vendere” più dei concorrenti, avere più consenso, più followers, più “likes”. Oppure distrarre, creando magari anche finti problemi, per poi offrire soluzioni preconfezionate. Gli elettori ormai misurano i candidati non sulle idee o sulle proposte, ma sul numero di utenti che li seguono sui social, sulla quantità di pollici alzati, cuoricini e retweet.
Da qualche tempo, per caldeggiare la propria causa e ottenere sempre più consensi, è in forte crescita il fenomeno delle “fake news”, delle notizie false fatte girare in rete da profili altrettanto falsi per influenzare l’opinione pubblica. La propaganda da tempo non viene più condotta solo dagli addetti ai lavori: sui social chiunque può postare e divulgare notizie, senza scrupoli per le fonti. Mentre i giornali hanno un codice etico da rispettare – solo gli iscritti all’albo dei giornalisti possono accedere alla professione – la rete è di tutti, non si richiede l’iscrizione ad albi professionali per diffondere notizie, vere o false che siano. Anzi, più la notizia è eclattante e scandalosa, più viene diffusa e diventa virale. Come ha dimostrato l’inquietante caso del Russiagate, che ha colpito tanto l’America quanto l’Europa, non è così difficile creare e diffondere ad arte notizie false, “bufale”, che sviano chi non ha sufficienti basi culturali per poterle verificare.
Ma un politico che si fa eleggere sulla base di menzogne e falsità, anziché per i suoi programmi e meriti, non è come un medico che eserciti con una falsa laurea, senza aver mai studiato Medicina? Quale cura potrebbe avere un paziente da un siffatto medico?
E quindi, alla fine, quanto giova davvero la disinformazione al popolo? Sentire solo bugie al posto della verità? Una volta scoperchiato il fenomeno, non ci sarà prima o poi una crisi di rigetto e una ribellione?
Abbiamo visto in passato casi di insurrezione e ribellione popolare, che hanno cambiato il corso della Storia, dalla Rivoluzione francese al Risorgimento italiano, alla liberazione dal Fascismo. Va bene, si dirà, ma quelle erano lotte per i diritti civili, per la libertà e per la democrazia.
Ma non esiste libertà né democrazia senza “verità”. In democrazia i cittadini hanno più che mai bisogno di conoscere la verità, per non farsi ingannare e manipolare dalla propaganda, per poter scegliere e votare a ragion veduta. Non per nulla, i primi obiettivi da colpire per le dittature sono sempre state le scuole, i libri, i giornali, l’informazione e la cultura in generale. Nemmeno le fake news sono una novità di oggi. La Storia è sempre stata infarcita di manipolazioni della realtà.
(1 – Continua)