I DIMENTICATI
CRISTINA CAMPO (Bologna 1923 – Roma 1977)
La perfezione della parola
Cristina Campo, nome d’arte di Vittoria Guerrini, è l’unica figlia del compositore e musicista Guido Guerrini che nel 1928 andrà a Firenze per dirigere il Conservatorio Cherubini. E sarà Firenze per Vittoria alias Cristina (in realtà è uno dei suoi nomi di battesimo), nata e vissuta tra Bologna e Parma fino all’età di cinque anni, determinante alla sua educazione culturale. Ha una malformazione cardiaca dalla nascita che la costringe all’isolamento, a studi non regolari e da autodidatta, «fortuna immensa, si è costruita praticamente da sola percorsi di letture personali e liberissimi», commenterà Elémire Zolla, suo compagno nell’ultimo periodo della vita.
A Firenze frequenta il germanista Leone Traverso con il quale avrà una relazione sentimentale, il poeta Mario Luzi, suo amore segreto perché sposato, che le farà conoscere l’opera della filosofa Simone Weil, la traduttrice Gabriella Bemporad e la letterata Margherita Pieracci Harwell, la Mita delle lettere, che pubblicherà le sue opere postume.
Nel 1955 si trasferisce a Roma dove il padre assume la direzione dell’Accademia di Santa Cecilia.
Per Cristina Campo lasciare Firenze e ambientarsi a Roma non è facile, “questa città mi aggroviglia le idee”. Ha un carattere introverso e non ama la folla (andrà in analisi per curarsi da una forma di agorafobia). Riesce però nel 1956 a pubblicare la sua prima raccolta poetica Passo d’addio con l’editore Vanni Scheiwiller di Milano, che sarà poi inserita in La Tigre Assenza, raccolta del 1991 pubblicata da Adelphi. Sono 11 poesie di saluto a Firenze con tutto quello che ha rappresentato.
Poco interessata al mercato letterario, il suo stile personale si evidenzia nella ricerca estrema del significato vero della parola, non si accontenta, è una perfezionista. Da una lettera inedita di Cristina Campo a Alejandra Pizarnik: “Continuo a dimagrire, continuo a soffrire – a volte come un essere umano, a volte come una bestia. Vorrei scrivere. Oh sì, lo vorrei più di ogni altra cosa. Ma l’occhio continua a smarrirsi nella ricerca di forme squisite, di luci esatte, di spazi musicali che non ci saranno mai più”.
Nel 1958 incontra Elemire Zolla, scrittore, filosofo e storico delle religioni, marito della poetessa Maria Luisa Spaziani, con lui andrà a vivere all’Aventino. Cristina non potendo avere figli, non si sposerà mai.
Nell’ultimo decennio della sua vita si ritira quasi completamente dalla scena culturale per dedicarsi allo studio del cristianesimo che la porterà a prendere una posizione ortodossa della liturgia contro le riforme dettate dal Concilio Vaticano II e che la avvicinerà ai riti bizantini più idonei al suo credo.
Probabilmente è per la sua visione religiosa e reazionaria che Cristina Campo rientra tra i poeti dimenticati, come dice Elemire Zolla «Durante la vita Vittoria non fu menzionata da nessuno di coloro che oggi si sentono liberi di parlarne. Non desidero valutare i loro criteri di silenzio e se mai volessi dichiararli, sarei portato molto lontano, dove non desidero andare. Fino al 1980 c’era comunque un sistema di divieti, instaurati nel 1968 e rientrava in essi la proibizione di menzionare Vittoria… »
Vittoria/Cristina muore nel gennaio del 1977, non ha ancora compiuto 54 anni, nel silenzio quasi totale del mondo letterario.
Da Passo d’addio
Devota come ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,
su acutissime làmine
in bianca maglia d’ortiche,
ti insegnerà, mia anima,
questo passo d’addio…
Amore, oggi il tuo nome
al mio labbro è sfuggito
come al piede l’ultimo gradino…
Ora è sparsa l’acqua della vita
e tutta la lunga scala
è da ricominciare.
T’ho barattato, amore, con parole.
Buio miele che odori
dentro i diafani vasi
sotto mille e seicento anni di lava –
ti ticonoscerà dall’immorale
silenzio.
Moriremo lontani. Sarà molto
se poserò la guancia nel tuo palmo
a Capodanno; se nel mio la traccia
contemplerai di un’altra migrazione.
Dell’anima ben poco
sappiamo…
…ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni:
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta».
(da La tigre assenza, M.Pieracci Harwell cur., Adelphi, 1991)