Il corpo abusato: l’infibulazione (4)

Sono settimane che giro intorno alla questione: affrontare o non affrontare uno degli abusi più cruenti codificati sul corpo femminile?

L’infibulazione è una pratica sanguinosa, fortunatamente lontana dai nostri riti, ma è una pratica tuttora in uso in una larga parte di mondo.

Insieme con la circoncisione maschile, l’infibulazione, che chiaramente proviene da riti iniziatici tribali, ha origine antichissime: si pensa che l’idea della circoncisione sia nata nell’Egitto dei faraoni, ma se ne hanno riscontri anche tra i fenici, tra gli ebrei che ancora la praticano, tra i babilonesi. E sembra che la pratica fosse diffusa anche tra gli etruschi.

Si fa risalire invece l’origine delle mutilazioni genitali femminili all’Africa subsahariana, tra le tribù preislamiche. Oggi l’infibulazione è praticata sia nell’Africa nera di religione islamica che nell’Etiopia di cristianità copta, ma anche in Egitto dove i dati ci dicono che vi sarebbero state sottoposte l’80% delle donne.

Né nel Corano né nella Bibbia però, pare esserci traccia di questo rito sanguinoso.

Mentre la circoncisione, che consiste nel taglio della pelle in più del prepuzio, nasce come pratica igienica e non porta nessuna conseguenza nella vita adulta, l’infibulazione significa il taglio delle piccole labbra, del clitoride e di parte delle grandi labbra. Si tratta quindi di una vera e propria mutilazione, che comporta terribili e dolorose conseguenze fisiche immediate e una vita sessuale dimezzata. Le bambine tra i 4 e i 12 anni che vengono sottoposte a questa pratica spesso muoiono di setticemia e le testimonianze delle sopravvissute ci raccontano di dolorosissime e difficili convalescenze da cui escono provate non solo nel corpo ma anche nella psiche. La vulva mutilata viene ricucita alla meno peggio, spesso con arnesi molto lontani dall’essere sterili. L’unico forellino che resta dopo la pratica è destinato al passaggio sia dell’urina che del sangue mestruale e il ristagno dei liquidi crea numerosi infezioni nel tempo.

Ovviamente alle donne sotttoposte a questa pratica  è negato l’orgasmo clitorideo e nella maggior parte dei casi i rapporti sessuali sono difficili e dolorosi. Così pure il parto. Inutile aggiungere di più parlando di un tale abuso.

La tradizione, come sempre, vede nonne zie e madri convinte che senza questo rito le piccole donne della famiglia avranno una vita infelice. In primis perché non saranno scelte come spose da uomini che credono che quella sia una pratica salvifica per lo status e per l’onore delle famiglie.

Come sempre il corpo femminile viene pensato come fosse proprietà di altri. Non solo dei genitori, dei fratelli, dei mariti e dei compagni, ma anche della comunità, dello Stato, della Chiesa, della Moschea, della Sinagoga. Cito i tre luoghi di culto delle tre grandi religioni monoteistiche perché le regole legate alle donne sono molto simili e la verginità, come sappiamo, è una questione importante in tutte le religioni. Eppure è qualcosa che appartiene e attiene strettamente al corpo, quindi è un dato privato, uno dei più privati, a mio avviso.

 

Poiché le nonne, le zie e le madri sono le prime a trasmettere riti e costumi riguardanti il corpo delle loro figlie e nipoti, da diversi anni è partita una campagna di informazione capillare  contro l’infibulazione. Tante donne africane e non solo africane, stanno portando avanti una dura lotta per eliminare completamente l’irreversibile mutilazione tra le pratiche cui vengono sottoposte le bambine. Auguriamoci che sortisca effetti.

(4 – FINE)