Continuiamo il nostro viaggio nel tempo e nello spazio alla scoperta degli abusi fatti sul corpo delle donne da parte di leggi, regole e decreti maschili. Spacciando spesso per protezione quello che invece è controllo su compagne figlie mogli e sorelle.
C’è sempre stato un grande interesse per la testa delle donne, non tanto per quello che contiene, piuttosto per quel che appare: la bellezza del volto, lo splendore degli occhi, la lucentezza dei capelli.
I capelli rappresentano un acuto richiamo sessuale nella tradizione di tutti i tempi e di tutte le parti del mondo. San Paolo nella prima lettera ai Corinzi raccomandava alle donne di coprirsi il capo davanti agli angeli che erano presenti, per non indurli in tentazione. Gli angeli sarebbero stati gli uomini? Immaginiamo di sì. La città di Corinto, ai tempi di San Paolo, aveva un tempio pagano dedicato ad Afrodite, dove si praticava la prostituzione rituale. Le prostitute del tempio si rasavano il capo, quindi nessuna donna cristiana avrebbe voluto tagliare i propri capelli, ma tutte sapevano che dovevano tenerli coperti.
Il punto anche allora come adesso resta lo stesso: per evitare di cadere in tentazione, gli uomini impongono alle donne delle regole che le limitano. Le donne mettono in pratica quelle stesse regole e le diffondono presso le loro discendenti per evitare di essere aggredite sessualmente. E si perpetua così il controllo degli uomini sulle donne.
L’atto di nascondere una parte del corpo genera un senso di mistero per chi non può godere della vista di quella parte e un senso di proprietà per chi invece ne ha facoltà. Un’estensione della proprietà si può rappresentare così: Tu sei mia e se qualcuno vedrà quella parte del tuo corpo – fossero i piedi o i capelli, anche se li dovesse vedere con la forza o con la frode, tu sarai la colpevole e quindi sarai punita.
Nella Roma antica, che aveva regole definite anche per la trasgressione, c’erano tre proibizioni riguardanti la sfera sessuale: vietato fare sesso prima del tramonto, farlo con la luce, farlo con una donna nuda – anche le prostitute restavano parzialmente vestite, solo con i legittimi consorti si poteva rompere il tabù della nudità. Scoprire i capelli, in misura inferiore, aveva la stessa valenza, le spose portavano rispetto ai loro consorti indossando in pubblico un velo sul capo.
Anticamente alcuni rabbini parlavano del richiamo sessuale insito nei capelli delle donne e proibivano agli uomini di pregare in presenza di una donna coi capelli in vista. Per gli ebrei ortodossi infatti le donne sposate devono coprire i capelli, possono mostrarli solo al legittimo consorte e spesso in presenza di estranei portano una parrucca.
Si narra che nel XIII e XIV secolo alle giuriste Bettisia Gozzadini e Novella D’Andrea fosse concesso di tenere lezioni di Diritto all’Università di Bologna solo a patto che il loro volto e i loro capelli fossero nascosti dietro un velo, affinché gli studenti fossero interessati solo alle lezioni e non alle loro fattezze.
La morale cristiana imponeva costumi rigorosi nel medioevo: per nascondere le chiome le donne avvolgevano bende intorno al capo, come fanno ancora oggi le suore di molti ordini monastici.
Il Corano impone il velo alle donne, in fogge varie: burka, niqab, abaya, chador sono solo alcuni dei modi con cui, a partire dalla prima mestruazione e per tutta la vita, le donne si coprono il capo. Alcuni veli sono vere e proprie corazze che nascondono la donna dalla punta dei piedi alla punta dei capelli, lasciando in certi casi solo gli occhi scoperti e a volte neppure quelli, celati dietro una rete che permette di guardare senza essere viste. Così vestite, le donne si muovono con difficoltà, eppure ne ho viste personalmente tante caricarsi di fascine e di secchi d’acqua indossando oltre tutto anche i guanti.
In Namibia i capelli delle donne Himba rappresentano un richiamo sessuale e le donne li curano cospargendoli con un impasto lucido e rossastro fatto di terra ocra, grasso animale e resine profumate. Vengono poi acconciati a seconda dell’età: due grosse trecce per le bambine, molte treccine sottili e disordinate prima della pubertà, trecce più ordinate, ricoperte da quell’impasto rossastro, solo dopo la prima mestruazione. Un lavoro per mostrarsi belle.
Da noi, nell’occidente “laico”, nelle campagne e nei paesi, si sono portati veli, cappelli e foulard per nascondere i capelli fino a settant’anni fa: lo testimoniano anche i costumi tradizionali.
I capelli che dovevano essere per tutte lunghi e intrecciati e raccolti sul capo, mai sciolti se non nell’intimità della propria casa, subirono una trasformazione radicale solo nel 1915, quando la ballerina Irene Castle fece il celebre taglio bob che da quel momento diventò moda. Fu una vera e propria rivoluzione e persino i parrucchieri per un po’ si rifiutarono di tagliare i capelli delle ragazze, costringendole a rivolgersi ai barbieri. Anche questo era un modo per ribellarsi al patriarcato.
Non dimentichiamo mai che la libertà di portare i capelli come ci pare e piace dipende da secoli e secoli di lotte e di emancipazione, e anche che certe mode che ci sembrano scelte, sotto sotto derivano invece da costrizioni. Pensiamo ai capelli rasati che adesso vediamo spesso anche sulle teste femminili, a lungo hanno avuto un significato estremamente negativo: la rasatura era una diminutio della femminilità. Applicata alle teste delle suore che si ritiravano dalla vita pubblica, delle carcerate, delle fedifraghe, delle traditrici, alla Liberazione, dopo il 25 aprile del 1945, fu utilizzata su molte donne che, sospettate di aver collaborato con i tedeschi, venivano rapate a zero e costrette a sfilare per le strade.
Per finire, anche sui capelli delle donne si giocano partite di potere, non considerandoli di esclusiva proprietà dell’essere umano sulla cui testa crescono.
Sempre più complicata di quella degli uomini la vita delle donne, anche di quelle libere di andare dal parrucchiere! (-2 continua)