Il 25 aprile, dopo l’era Berlusconi, non è più una festa condivisa, istituzionale. Diciamolo senza tentennamenti. Oggi più che mai è la festa in cui gli “antifascisti” celebrano la “liberazione” dal regime fascista, il giorno della memoria per cui democristiani (cattolici popolari), comunisti, socialisti, radicali, repubblicani, liberali e monarchici decisero dopo l’8 settembre del ’43, di mettere in gioco direttamente la propria vita e combattere per la libertà. Con l’era Berlusconi, dicevamo, una certa destra “non liberale” si è sentita sdoganata, ma non nel diritto di esistere poiché la “costituzione democratica” gli garantiva il diritto a sedere in parlamento, ma nel manifestarsi apertamente e senza ipocrisie come “non antifascista”. Una certa Italia che ha nel DNA un “male oscuro” per parafrasare il titolo del bel romanzo di Giuseppe Berto. Un male che ci ha reso marionette costrette a marciare obbligatoriamente nel sabato fascista, bambini e adulti, vestiti di nero. Tutti con il braccio teso verso un dittatore assassino. Reo confesso con il discorso che lo stesso Mussolini tenne il 3 gennaio 1925 nel parlamento regio, in cui si assunse “la responsabilità politica, morale e storica” di quanto era avvenuto in Italia negli ultimi mesi e specificamente del delitto Matteotti. Questo segnò l’inizio del regime autoritario che ci portò ad essere alleati di Hitler in una guerra debosciata, e ad emanare leggi razziali fino a deportare gli ebrei nei campi di concentramento.
Oggi è il 25 aprile e noi lo festeggiamo.