Ho ritrovato nelle bozze questo pezzo scritto ad agosto scorso, e lo condivido, perché mi sembra purtroppo ancora attuale.
Essere sani è guardare l’altro – chiunque sia: uomo donna, bianco nero, basso alto, grasso magro, giovane vecchio, straniero italiano, abile o disabile – con gli stessi occhi, almeno tentare di farlo, vedendolo in primis per ciò che è, un essere umano.
Pensiero radicalchic? No, puro raziocinio. Siamo esseri umani, con le nostre contraddizioni: mettiamole in fila davanti a noi, osserviamole con accuratezza. In fondo questa è l’unica funzione che abbiamo, questo l’unico esercizio che ci è richiesto, da quando nasciamo alla morte: evitare dolori a sé e agli altri. Per portare a termine il compito è necessario, direi addirittura indispensabile, mettere in pratica una regola che è cristiana perché è stata adottata dal cristianesimo, ma è fondamentalmente umana: ama il prossimo tuo come te stesso, che, se slitta leggermente dal segno + al segno – diventa: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Appare chiaro che non è per noi europei, per noi italiani, il momento peggiore, ma che stiamo affrontando una marea umana in difficoltà che porta con sé così tanto dolore da scavalcare, a nuoto, a piedi, a dorso di un mulo, coi figli addosso e i piedi feriti, il nostro sciocco e viziato pensiero che spesso ci fa soffrire solo perché non riusciamo ad avere di più di quanto già abbiamo.
Siamo stati abituati bene, fortunatamente, certo le cose adesso vanno male anche per molti di noi, e il salto è tale che ci spinge a cercare il colpevole di questa disdetta. (Tra parentesi un’altra regola aurea è prima di cercare chi ha colpa, si cerchi il rimedio al danno.)
Tornando al dunque, è ovvio che una situazione precaria porta con sé una certa difficoltà a comprendere le altrui disgrazie e a compenetrarci, compassionevolmente, con i dolori dei nostri simili. Però, forse, è molto più semplice di quanto pensiamo, recuperare l’umano che è in noi. Chiediamoci: vorremmo davvero che sparassero alla bambina che portiamo in braccio? Vorremmo che qualcuno lasciasse affogare i nostri figli perché il gommone dove viaggiavano è stato bucato da mascalzoni che prima ci hanno preso tutti i soldi che avevamo per caricarci in barca e traghettarci verso un nuovo mondo? Vorremmo davvero essere segnati a dito perché siamo bianchi, cattolici o, che so, troppo alti? Davvero vorremmo questo? No. Non lo possiamo volere per noi e dunque non possiamo augurarci che qualcun altro patisca tutto questo, né voltarci dall’altra parte se vediamo qualcuno soffrire. Perché non vorremmo neppure che se qualcuno ci vede cadere in terra colti da malore ci lasci lì abbandonati magari perché ha paura di noi o il colore della nostra pelle non gli piace. Non possiamo volere questo, anche se non siamo battezzati, anche se non ci hanno insegnato il catechismo. Perché se non è vero che mors tua vita mea, è piuttosto vero che mal comune mezzo gaudio, nel senso che condividere il dolore può alleviarlo leggermente, ma il dolore dell’altro non ha mai rallegrato me che non lo provo, se non sono fatto di odio. È di odio che siamo fatti o ce lo stanno instillando dentro, giorno per giorno, ora per ora, immagine falsa e costruita dopo immagine falsa e costruita, per evitare che si veda che i problemi sono altrove, che la politica ha inquinato il suo senso di essere da troppo tempo, che va cambiata rotta, decisamente e con grande chiarezza? Non certo verso la barbarie, ma verso un sistema umano, alternativo, pensato, non propagandistico. Che poi gli italiani siano nel profondo cinici – come si dice da più parti – beh, può darsi, ma comunque non lo siamo tutti. L’altra metà, quella che non lo è, può farlo capire, con pacatezza e fermezza, perché soggiacere a chi ci obbliga ad eleggere nemico il bisognoso di turno invece di risolvere le questioni cogenti del nostro Paese – e ce ne sono! – non giova a nessuno, né a noi che non condividiamo, né a coloro che ora condividono un pensiero ma si accorgeranno presto che porta solo allo sfacelo. Facciamoci questa semplice domanda ad ogni pensiero cattivo che ci si concretizza nella mente: se lo facessero a me, a mio figlio, a mio fratello?