Esordisco su RMagazine, con una nuova rubrica dal titolo “Specchietto retrovisore”, cominciando intanto a spiegare il perché di questo nome.
L’intento è condividere coi lettori qualche riflessione su quanto succede oggi attorno a noi, nella società attuale; e cosa c’è di meglio di uno specchio, per riflettere? In particolare, quello retrovisore non serve per specchiarci noi stessi, edonisticamente, narcisisticamente (sebbene qualcuno lo faccia, al semaforo). No, vi si riflette ciò che sta accanto a noi, in modo che possiamo guardarci attorno. Dietro, alle nostre spalle, ma anche di lato, per comprendere quello che ci accade vicino. Solo così saremo poi in grado di ingranare la marcia e ripartire. In avanti, possibilmente. Il retrovisore ci serve soprattutto in manovra, quando svoltiamo, quando vogliamo o dobbiamo cambiare direzione. I momenti di svolta, come quello che stiamo attraversando, richiedono uno sguardo attento sullo specchietto retrovisore. Mai come oggi ne abbiamo bisogno per sapere dove e come andare, senza far danni, senza andare a sbattere.
La parola “retro-visore” significa “che fa vedere dietro”. È importante guardarci alle spalle, anche per capire da dove veniamo e come siamo arrivati fin qui. E questo significa conoscere la nostra storia, sebbene oggi la Storia non sia più tanto di moda. Non so nemmeno se e quanto venga ancora studiata nelle scuole.
Ma che senso ha oggi parlare di Storia? La Storia può essere ancora considerata “maestra di vita”, come scriveva Cicerone? Non è facile rispondere: grazie al bombardamento disordinato di tweet e post, di notizie vere e false, di informazioni che si accumulano e si susseguono in tempo reale, senza analisi e senza mediazione, i giovani oggi vivono in un presente assordante, ingombrante, senza memoria del passato e purtroppo senza nemmeno grandi prospettive per il futuro. Come evolverà la nostra società? Che fine farà la Storia? È possibile una decadenza sociale, che coinvolga anche la narrazione storica, facendoci ripiombare in epoche buie e mitologiche?
Non dimentichiamo che la Storia viene scritta dai vincitori, ed è stata sempre infarcita di falsità, di menzogne, di “fake news”: le bufale non sono un fenomeno nato oggi.
Le certezze granitiche sono quindi sempre pericolose. Bertrand Russell diceva che “il problema dell’umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi”. Occorre dunque recuperare il valore del dubbio. Studiare la storia per conoscere il passato, per interpretare e capire il presente e per progettare il futuro, ma valutare i fatti con obiettività per formare coscienze critiche. La verità è complessa, come la società d’altronde, non esistono scorciatoie e semplicismi, dualismi bianco-nero, vero-falso, giusto-sbagliato. La Brexit ce lo insegna.
A proposito di Brexit, molti sostengono che i tempi attuali ricordano quelli della repubblica di Weimar, gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, quelli che precedettero la catastrofe della II guerra mondiale, con la crisi economica e le spinte populiste e nazionaliste di allora. Altri ribattono che non è vero, che le condizioni sono diverse, così come lo scenario internazionale odierno, con le comunicazioni in tempo reale e la globalizzazione.
Sono veri entrambi i punti di vista. Le epoche storiche non sono un “copia e incolla”, non sono fotocopie sbiadite di eventi originari, che si moltiplicano in tanti esemplari. I progressi culturali, scientifici e tecnologici trasformano il mondo in continuazione, ogni volta vestono i personaggi di abiti nuovi e li dotano di strumenti nuovi, che rendono irriconoscibili le analogie.
La storia di Roma e di Atene fu utile per giudicare il presente, finché si credette che la natura umana fosse una e immutabile. Ma le scoperte geografiche dimostrarono che il mondo era molto più grande di quanto si fosse pensato, e la lezione della civiltà greco-romana cessò di esprimere dei valori e delle verità universalmente valide.
Eppure la Storia ci serve ugualmente, perché ci insegna comunque a vivere meglio il presente, anche se tutto è cambiato e se i dettagli sono differenti. Conoscere il passato non garantisce la perfezione, non ci fa evitare automaticamente gli errori, o compiere sempre le scelte migliori. A parte il fatto che gli interessi degli uni non coincidono con quelli degli altri (la storia dell’America è stata redatta dai colonizzatori, cosa avrebbero scritto gli imperatori aztechi o incas?), in realtà imparare la Storia è un po’ come imparare a nuotare o ad andare in bicicletta: non basta guardare gli altri farlo, per capire come si fa. Bisogna buttarsi in acqua, saltare in bici, fallire, cadere, bere, sbucciarsi le ginocchia… La Storia va sperimentata, come tutte le scienze empiriche.
Si deve imparare la Storia così come si impara a leggere, a scrivere e a far di conto. Saper scrivere non ci fa diventare automaticamente scrittori, se non abbiamo contenuti da condividere. E tuttavia oggi non si può vivere senza saper leggere o scrivere, fa parte della nostra essenza culturale, del nostro essere umani. Allo stesso modo, la Storia svela l’identità di una società, così come la vita vissuta definisce l’identità personale di un individuo. Un popolo che non conosce il proprio passato è come una persona che ha perduto la memoria, che ha subìto un blackout mentale e non sa più chi è.
Tornando al nostro titolo, conoscere la Storia è dunque anche un po’ guardarsi allo specchio, magari anche in quello retrovisore (purché fermi al semaforo). Ci riconosciamo sempre, anche se cambiamo ogni giorno, e notiamo sul nostro volto i segni della quotidianità, le occhiaie della stanchezza o il vigore delle giornate migliori.
Anche se la Storia non sempre ci insegna a evitare gli stessi errori, ci educa comunque alla critica, alla “civiltà”. Un’educazione civica, una cultura interdisciplinare che fa maturare le coscienze, ci rende più responsabili moralmente e anche politicamente di fronte alla società.
In questa rubrica affronterò questi e altri argomenti, in modo un po’ più approfondito. Per cui… allacciamo la cintura, sistemiamo lo specchietto e partiamo. Buon viaggio!
Louis Petrella