“Lo confesso. Non sono mai riuscito a terminare il libro, nonostante la buona volontà. Sono sempre stato annichilito da quel continuo gioco fra l’ipercultura e l’iperpop, tra l’erudizione e la letteratura di genere, tra la teologia e l’ironia facile: un intarsio che ammicca all’uomo colto e al «lettore medio». Colpa mia, ma un libro o ti prende o non ti prende.
Cosi Aldo Grasso nel Corriere di stamani. Gli riconosciamo il coraggio della sincerità, anche perchè un libro o ti prende o non ti prende. Noi abbiamo la stessa idiosincrasia verso “Cent’anni di solitudine” di Marquez. L’abbiamo iniziato e chiuso dopo le prime 50 pagine più o meno tre volte. Ma passiamo a ciò che ci ha spinto a scrivere questo pezzo.
Il nome della rosa, la serie, che è stata prodotta da Palomar, Rai Fiction con Tele Munchen Group, scritta da Andrea Porporati, da Giacomo Battiato (che firma anche la regia) e dallo stesso Turturro. A parte il romanzo che al contrario di Grasso che lo reputa un pò furbo, noi troviamo un esempio da parte del professor Eco di padronanza assoluta del suo mestiere che in fondo era conoscere le pieghe più recondite della lingua e della scrittura e delle sue tecniche e qui ne fa ampio sfoggio. No non lo troviamo furbo, non ammicca, non si nasconde, non ci troviamo quella bassa fame di successo, ma anzi per Lui un divertimento e una dimostrazione di come si costruiscono certo tipo di romanzi.
La serie invece la troviamo, questa si assoggettata agli umori televisivi di un pubblico abituato a vedere “il trono di spade” e tutta una pletora di film del genere. Per cui si scosta a nostro avviso dall’originale film del 1986 di Annaud e dalla bella interpretazione di Guglielmao da Baskerville ( Eco disse che il cognome derivava direttamente dal “Mastino dei Baskerville” come omaggio a Conan Doyle) di Sean Connery e dallo spirito del libro. Noi lo abbiamo letto tutto.