Guardami sono nuda. la breve vita di ANTONIA POZZI

I poeti spesso sono ostaggi di un male oscuro. Hanno sempre troppa anima, troppe paure.

“ Le tue poesie mi ricordano Antonia Pozzi.” Sono seduta al tavolino di un bar con Rory, l’amica di sempre, giornalista. Stiamo organizzando la presentazione della mia raccolta di poesie. Apre la borsa e tira fuori un libro con la copertina celeste, “Antonia Pozzi, Tutte le opere”. Lo apre e legge qualche verso. Mi vengono i brividi. Mi riconosco nelle parole. E’ un vero e proprio colpo di fulmine. Compro tutti i suoi libri.

Per conoscerla meglio divido la sua breve vita in sezioni.

Antonia e la famiglia d’origine.
Nasce nel 1912 a Milano. I suoi genitori sono l’avvocato Roberto Pozzi, di origini modeste, che ha perso il padre e la sorella minore per suicidio, e la contessa Lina, primogenita del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana. Antonia cresce nell’ambiente colto e raffinato della “Milano bene”, ma apprezza solo le serate alla Scala dove si lascia trasportare dalla musica che ama.
Antonia e la natura.
Ai salotti borghesi preferisce la natura soprattutto quella incontaminata di Pasturo, un paesino della Valsassina frequentato fin dall’infanzia. Qui scrive gran parte delle sue poesie, la natura diventa per lei rifugio e ispirazione “per un’ebbra ed inconscia frenesia di contatti selvaggi con la terra”. E nella natura decide di morire, quel 2 dicembre del 1938, quando viene ritrovata agonizzante nei campi innevati presso l’abbazia di Chiaravalle, dopo aver ingerito un intero barattolo di barbiturici. Nella lettera di addio scritta ai genitori, chiede di essere sepolta a Pasturo, “sotto un masso della Grigna, fra cespi di rododendro”. “Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato”, aggiunge, “e non piangete, perché ora io sono in pace.”
Antonia e la poesia.
Ha quindici anni Antonia quando inizia a scrivere poesie e a dedicarsi alla fotografia, «Vivo della poesia come le vene vivono del sangue», scrive, «la poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci rimbalza nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella celeste vastità del mare».

Antonia e i suoi amori non corrisposti.
E’ il 1927, Antonia frequenta la prima liceo al Manzoni di Milano e si innamora del suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, di diciotto anni più grande. Cervi non è un docente qualunque, in una lettera all’adorata nonna Nena, la Pozzi lo descrive come “una gran fiamma dietro una grata di nervi, un’anima purissima anelante a sempre maggiore purezza”. Sarà un amore tanto intenso quanto tragico, perché ostacolato con tutti i mezzi dal padre e che vedrà la fine nel 1933 con la rinuncia alla “Vita sognata”

…Oh per averti sognata,
mia vita cara,
benedico i giorni che restano –
il ramo morto di tutti i giorni che restano,
che servono per piangere te. (25 settembre 1933)

In “Ricongiungimento” scrive
“Se io capissi
quel che vuol dire
– non vederti più –
credo che la mia vita
qui – finirebbe.

Ma per me la terra
è soltanto la zolla che calpesto
e l’altra
che calpesti tu:
il resto
è aria
in cui – zattere sciolte – navighiamo
a incontrarci.

In realtà Antonia non incontrerà più Cervi, ma lui resterà incancellabile dalla sua vita anche quando si illuderà di altri amori mai corrisposti (Dino Formaggio, Remo Cantoni).

Antonia e la fotografia:

Contemporaneamente alla poesia Antonia si appassiona alla fotografia, vuole cogliere la vera natura delle persone e delle cose, vuole dar loro quell’eternità che il passare del tempo non lascia intravedere. I suoi album sono pagine di poesia in immagini.

Antonia e la morte
“Parlava e scriveva spesso della morte con un prodigioso possesso lirico dell’idea, come accade ai futuri poeti suicidi, come accadde a Pavese” (Maria Corti)

Date le circostanze del suicidio, profetica appare la sua meravigliosa poesia Guardami, sono nuda:
Guardami: sono nuda. Dall’inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color d’avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m’inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m’inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra
starò, quando la morte avrà chiamato.
A soli ventisei anni si toglie la vita in una sera di dicembre del 1938. Nel suo biglietto di addio ai genitori parla di «disperazione mortale». Avverte il cupo clima politico italiano ed europeo, le leggi razziali del 1938 colpiscono alcuni dei suoi amici più cari, «forse l’età delle parole è finita per sempre», scrive a Sereni.
La famiglia ha sempre negato la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il testamento della Pozzi viene distrutto dal padre che manipola anche le sue poesie scritte su quaderni e allora tutte inedite.
Ignorata in vita viene scoperta solo dopo la sua morte con la raccolta Parole del 39’ (riconoscimento di Montale), ma la vera rivalutazione di Antonia Pozzi inizia alla fine degli anni ottanta con la progressiva pubblicazione sia dei testi inediti sia della versione originale di quelli manipolati dal padre. “Ne è derivata una visione della poesia della Pozzi notevolmente più ricca di quella che si poteva ricavare dalle prime raccolte (…), ma anche e soprattutto quegli aspetti che, nel panorama letterario italiano della sua epoca, la fanno apparire come un’esperienza autonoma e per certi versi, unica”. (Graziella Bernabò)

Bibl.:
Antonia Pozzi, Parole, Ed. Ancora
Antonia Pozzi, Guardami sono nuda, Ed. Clichy
Antonia Pozzi, Tutte le opere, Ed. Garzanti