Grandi praterie, cavalli al galoppo, mandrie di bovini ricondotti al recinto, greggi di pecore al pascolo, migliaia di capi di bestiame che sembrano ingovernabili. E poi tre cani – Uno, Due e Tre – non ha importanza che muoiano di vecchiaia o di malattia, o per una fucilata che li uccide per sbaglio, tanto sono mastini, abituati a fare quel lavoro, mordere le zampe degli animali per obbligarli a restare insieme agli altri, nel branco. Uno, Due e Tre sono i nomi, sempre gli stessi, che La Madre dà ai cani che si succedono uno all’altro, e cambino colore, attitudini o sesso, sempre Uno, Due e Tre si chiamano. La Madre non ha delicatezza, non ne ha mai provata, non sa che cosa sia. È rude come le sue bestie, ha il pensiero fino di una volpe, ma non possiede amore. Però alle sue cose ci tiene. E tra le sue cose annovera anche i quattro maschi che ha partorito, figli di un marito violento e ubriacone. A loro un nome l’ha dato: Mauro, Joaquin, Steban e Rafael. Ma nella sua testa sono Il Primo Gemello, Il Secondo Gemello, Lo Scemo e Il Piccolo. I quattro non hanno mai provato che significa una carezza, un abbraccio, non hanno mai sentito una parola gentile dalle labbra della madre.
Il Piccolo, che è nato quando il padre se n’era già andato (ma dove?) vive costantemente all’erta, perché i fratelli maggiori lo odiano, lo vessano, lo inseguono e lo massacrano di botte ogni giorno, però ha imparato a godere del mondo che ha intorno, e conosce le carezze del vento, gli abbracci lanosi delle pecore, la fedeltà dinamica e scattante del suo baio, quella fatta di baci umidi dei suoi cani. Steban lo Scemo, che percepisce gli umori di tutti e conserva al sicuro un segreto pauroso che l’ha reso balbuziente, vive la rassegnazione di sentirsi una zavorra inutile ma è, all’insaputa di tutti, colui che sa, l’osservatore che al momento giusto può agire. Mauro, il Gemello Numero Uno porta con sé l’arroganza d’essere il primo, il più forte, una montagna di muscoli, e la consolazione di avere la prosecuzione di sé nel Gemello Numero Due, Joaquin, che, quasi altrettanto grosso, quasi altrettanto primogenito, quasi altrettanto forte, condivide con lui tutto, dai pasti, al massacrante lavoro alla estancia, la fazenda nella Patagonia argentina, dove vive questo gruppo familiare nel dolore scabro della terra.
Sono violenza, solitudine e senso di impotenza ad averli forgiati, perché tutti e quattro i figli sono sotto scacco e La Madre li comanda senza tregua, imponendo loro la dimenticanza del futuro. Sono ragazzi – ragazzini i più piccoli – ma ignorano la scuola, il gioco, gli altri, non conoscono nessuno al di fuori dei propri fratelli e della propria madre, né la vita fuori dell’estancia. La Madre beve e gioca a carte nella locanda del paese. Gioca forte quello che ha: gli animali, la lana, la carne, la frutta, il raccolto, il lavoro suo e dei figli, si gioca anche i figli, che sono forza lavoro.
Non c’è tenerezza, non c’è compassione, non c’è consolazione.
Sandrine Collette ci regala un affresco potente che scava profondamente nel cuore del lettore, per permettergli di conoscere una dimensione forse lontanissima, quella della terra, del lavoro diciotto ore al giorno, delle ferite mal curate, delle botte, ma anche più vicina di quanto si pensi, quella della durezza della vita, dell’impossibilità di relazionarsi con dolcezza agli altri, della necessità di stare in guardia perché ci dicono che il mondo fuori è un mondo cattivo. E lo fa raccontandoci ad ogni capitolo il punto di vista di un componente della famiglia, per far sì che il lettore non odi nessuno fino in fondo – tutti hanno le loro ragioni – e non si affezioni a nessuno completamente – tutti hanno i loro torti.
La vicenda sembra immobile, fatta di polvere, di vento, di stagioni, di orari prestabiliti, come sono le vite degli allevatori e degli agricoltori, legate alla terra e alla natura amara, eppure ci sono scarti improvvisi, partenze, ritorni sperati, succedono cose, si muovono sentimenti – soprattutto d’odio e di vendetta inestirpabili –. Ma tutto resterebbe senza movimento essenziale, senza progresso, se Il Piccolo non commettesse un errore cui deve rimediare. La sua partenza dall’estancia, il suo viaggio pericoloso, il suo incontro con Il Vecchio, segnano il destino di tutta la famiglia.
È un libro che lascia tracce nel lettore, apre frontiere al pensiero, come dovrebbe fare ogni libro, propone domande esistenziali essenziali: è giusto essere grati a chi ci ha messi al mondo, solo per il fatto che ci ha messi al mondo? E’ possibile vivere senza nemmeno una traccia di quello che chiamiamo amore? I soldi fanno la felicità? E nella sua rassegnazione ad una vita di carne e sangue senza spiragli verso la poesia dell’esistenza, immette squarci di meraviglia, non solo perché la natura è terribile, ma anche strabiliante nella sua bellezza, ma anche perché, secondo l’autrice, dopo la morte resta il pensiero e quello, alla fine, è fatto di serenità.
RESTA LA POLVERE
di Sandrine Collette
titolo originale: Il reste la poussière
traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca
edizioni e/o
euro 18,00