Coazione a ripetere

 

Sono stanca, dottore, stanca. E dire che non ho mai sgobbato in vita mia, a momenti penso a quelli che l’hanno dovuto fare e mi domando quanto siano stanchi loro. In realta’ non lo voglio sapere.
Mi domando anche perche’ vengo qui ad aprire l’anima a uno che a malapena mi risponde e non trova mai una soluzione, siamo stupidi noi ricchi, perseguitati da inutili necessita’, colmi fino all’orlo di paure e pensieri di chissa’ quale importanza, mentre il mondo va avanti.
Posso dire ricchi senza sentirmi in colpa?
Perche’ a casa mia, come sa, non posso. Sembra che i soldi ci siano caduti addosso come una maledizione, e allora bisogna essere per forza generosi e ascoltare gli altri, anche quando ti martellano.
Si ricorda la storia del matrimonio di mio cugino, quando mi sono raffreddata in pieno giugno per resistere sei ore a non so quante portate in un giardino umido?
Stamattina mi sento come quella sera, pronta per un malanno e amareggiata per la felicita’ altrui. Un momento, devo chiarire, non sono invidiosa, e’ che qualche volta la felicita’ pura e troppo semplice mi disturba al punto di desiderarne lo sfascio, nel peggiore dei modi. Altrimenti dove va a finire l’intelligenza, se spogliata del dolore?
Poi mi distraggo, mi giro a guardare qualcosa, e dimentico la cattiveria appena pensata, batto anche le mani, ai matrimoni, e ultimamente rido di gusto.
Ha avuto due bambini, mio cugino. Bruttini, devo ammettere.
C’erano giorni, quando vivevo con Giulio, che mi sembrava di udire i tipici rumori di un bimbo per casa, gli odori, sa dottore quella specie di talco delicato come seta, ma lei ha bambini? Non lo so, accidenti, non so niente di lei.
Insomma le narici erano talmente invase di quell’aroma impercettibile che aprivo le finestre, anche a Gennaio, per capire se venisse da fuori e lasciarlo entrare a inebriarmi.
Lui si arrabbiava, mi urlava se mi fosse venuta la menopausa precoce, per avere i bollori in pieno inverno, tanto per quanto lo toccavo era meglio averla, la menopausa.
Era banale. Io e lui, lui e io, non andava oltre, arenato a un’idea, non considerava l’utero che pulsava nelle mie budella, immaginava noi soli, in quella casa, la mia, o per il mondo, se capitava.
Io non rispondevo al suo sarcasmo, e in genere andavo a fare una doccia, le finestre le lasciavo aperte, che se le chiudesse da solo.

Il suo bambino e’ nato che dormiva ancora nel mio letto, nemmeno allora voleva andarsene e pretendeva, pretendeva perdono, comprensione. Dio Santo. Io non rispondevo al perdono, ne’ alla comprensione. Ho fatto lavare le lenzuola, e le ho destinate alla camera piccola degli ospiti, credo di aver storto la testa a sinistra come faccio quando tutto e’ perduto, prima di salutarlo. E’ come un tic, dottore. L’ho baciato sulle labbra, un tempo mi era piaciuto il calore di quella bocca immatura.
Ce ne sono stati altri, dopo, cercatori d’oro, per lo piu’, o semplici comparse da una posa. L’odore di talco l’ho cercato a lungo, ma non sono abbastanza accogliente per quel tipo di aroma. Allora mi sono distratta, con loro, a promettere e vederli scodinzolare, sicuri di sistemarsi, e poi a colpirli alle spalle, in un momento intimo, a volte nuda per casa dopo averli sfruttati fino allo stremo, e idolatrati all’apice del godimento.
Buttati fuori senza motivo, se non il bambino di Giulio e la loro idiozia. Il mio addome che rimbombava vuoto, ogni volta.
Ma lo sa dottore che adesso mio padre vuole comprare un pezzetto di Benetton, alla sua eta’. Cos’ha mai il denaro da non dare tregua nemmeno a ottant’anni? Non lo capisco. Glielo diceva sempre la povera mamma, sa che non la chiamo mamma o mia madre da quando e’ scomparsa, ma sempre la POVERA mamma, se ci penso non le fa giustizia, era bella e ricca, prima o poi anche loro muoiono, non per questo si meritano tale soprannome.
Insomma la povera mamma predicava bene, e poi usciva a spendere, passando per la cucina a spiluccare un chicco d’uva, non l’ho mai dimenticato. L’uva la ricordo come fosse qui sulla sua scrivania dottore, ma so che e’ un frutto che dura poco, quindi doveva essere fine estate, al massimo autunno; l’immagine di lei che parla, parla e poi esce con l’uva in mano seguita dall’autista, forte e azzimato, non si cancella. Usciva tre volta a settimana, a volte solo due, di pomeriggio. Per cena era sempre a casa.
Quando e’ mancata, la povera mamma, era in macchina con lui, vicino Ostia. Mio padre lo aveva abbracciato come si stringe un figlio, senza occuparsi mai della ragione per cui si trovassero a Ostia, se erano diretti a Via Frattina.
Due giorni dopo il funerale era stato allontanato, con la preghiera di ritirare la macchina, una volta riparata, e tenerla come buon’uscita.
Aveva gusto la povera mamma, non credo di aver preso da lei.
Sa, ho il naso di mio padre, vuole dire qualcosa in psicoanalisi?
Intendo, brutto naso, brutto fiuto?
Dio, riesco anche a essere spiritosa quando parlo da sola, e non mi sorrida, altrimenti continuo e ne infilo una dietro l’altra. Pero’, ha dei bei denti dottore, non li avevo notati. Ho conosciuto un dentista, che cura tutti i dolori articolari dai denti, pensi. Sta alla Magliana, non c’ero mai andata, prima, che posto strano. Roma e’ troppo grande per una vita sola.
Giulio si e’ rifatto vivo. Che coraggio. Il bambino ha sei anni e lui sta a secco. “Mi conosci, in nome del nostro amore, sai che non te lo chiederei se non fossi disperato” , io gli ho scritto un assegno da diecimila euro, a patto che la smettesse di parlare. Mentre glielo porgevo, ho sfiorato la sua spalla. Mi e’ piaciuto. Lui ha salutato veloce muovendo il collo in avanti come un giapponese, invece di ringraziare. La vergogna non fa parte del suo pietoso essere.
Io ho fatto una doccia e sono uscita a comprare un orologio. Sempre meglio ricordare il tempo che passa, aiuta a non renderci ridicoli.
Del sogno che le ho raccontato, l’altra volta, mi ha detto che sembro essere popolata di pezzi sparsi piuttosto che mostrare una struttura solida. Ci ho ripensato, dove vede pezzi e strutture in un sogno da bambina, della casa d’infanzia e mia nonna che cucina un ciambellone? Ne avete di immaginazione, voi, ma e’ cosi’ che ci tenete legati, stimolando curiosita’ morbosa e lasciandoci marcire nel nostro disincanto, alimentando un desiderio impossibile di cambiamento.
Tra dieci giorni e’ il mio compleanno. Di questo che mi dice, dottore. Ah.
Fa spallucce, ha caldo, non e’ da lei. Sa quanti sono, guardi la scheda, se non ricorda. Come li dovrei prendere. Tra poco esco di qui e per una settimana sono sola con i minuti che mi rimangono fino al prossimo incontro, che sara’ tre giorni esatti prima del mio compleanno.
Quel suo discorso serio sulla coazione a ripetere l’ho capito, ma non fino in fondo, a me pare di agire per mio volere, non per quello che mi porto dentro e rimetto in scena all’infinito, cosa c’e’ di uguale nella mia vita, che si somiglia, che faccio sempre, non mi sembra.
Devo leggere qui? E’ scomodo, adesso, sia buono.

COAZIONE A RIPETERE
“ Tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, ne’ del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze”

Incoercibile. Incoercibile e inconscia, senza via d’uscita, quindi. Bravo dottore. Troppe i portano dolore, vuol dire. Ah.
Me lo poteva anche spiegare a parole, ancora una volta, mi piace. Mi si e’ seccata la lingua, a leggere ad alta voce, deve servire ad altro, la lingua.
La segretaria non c’e’ piu’? Quando sono entrata mi ha aperto lei col pulsante automatico, come mai, e’ malata? E’ carina, e’ sposata?
Dottore ha un’espressione grave. Sta bene?
Tempi di crisi, tagli. Anche qui. Accidenti. Mi spiace, era gentile, la segretaria. Lei ora fa da se’. Vedo.
Mi fa riflettere sui problemi del mondo, e io qui che me la canto semplicemente esausta di non avere desideri e di non fare assolutamente nulla. Mi vergogno, in questo momento, e le chiedo scusa, sentitamente. Sono educata, quando rifletto.
Lei sta seduto ore ad ascoltare per mangiare, e io mi permetto di giudicarla o di fare domande, dovrei semplicemente rispettarla e imparare da lei. Non oso immaginare cosa vorrebbe dirmi, quando tace e mi sorride. Qualcosa di terribilmente diretto che potrebbe svegliarmi dal mio sonno, ecco perche’ tace. Se mi svegliassi, lei dovrebbe rinunciare anche ai divani di pelle, oltre che alla segretaria.
Sorride ancora. Dio, pero’. Fa quasi male, cosi’.
Questa non somiglia alla coazione a ripetere?
Non le ho ancora parlato del mio piede destro. Mi duole, devo operarlo.
Sono indecisa tra meta’ marzo o settembre, d’estate non ho voglia di stare un mese sul divano con la zampa di un elefante. Mi consiglia marzo? O settembre?
Devo sentire da sola cosa mi rende piu’ serena, si, chiaro. Cosa puo’ esserci di sereno in una stupida operazione al piede, andiamo.
Ah. Essere costretti a fermarci aiuta a guardarci dentro e ascoltare la propria direzione, a volte i malanni sono la nostra salvezza.
Non ne ho mai avuta una di direzione, allora non mi ascolta, vuole farmi alzare la voce, a che mi possono servire i fottutissimi malanni?
A proposito, ho capito perche’ Dio non mi ha mandato figli. Mi vuol bene, Dio. Sapeva che sarebbe stato handicappato. L’altro giorno per strada, ho capito, dopo tutti questi anni. Una donna con occhi umidi attraversava la strada davanti a me, spingendo con fatica una carrozzina con una povera creatura. Era un messaggio per me, come a dirmi “ Ti ho salvata, o saresti stata tu, quella donna”. E’ rassicurante trovare risposte dopo tanto tempo, lei e’ valido, dottore, sto imparando a mettere i pezzi al loro posto.

Mi sono stufata della Smart, si parcheggia ovunque, trovo anche qui da lei, si figuri, pero’ mi stringe, come se mi soffocasse e con me soffocasse le mie aspirazioni di donna diversa, libera e curiosa. Somiglia agli struzzi, la Smart, quelli che vivono in serie, bevono e mangiano in serie e non escono mai dal seminato del loro piccolo orticello, uh, quanti ne conosco dottore, ormai lo sa. Tra loro non trovo amanti decenti, allora sono andata online.
Pazzesco. Dieci minuti dopo terminato il profilo, cinque richieste di conoscenza pronte. Sembra un supermercato con offerte comparate. Le diro’, voglio provarne uno. Magari questi non fanno domande, vogliono divertirsi un po’ e non entrano nel personale, perfetto, non crede? Cos’ho io da dare, meglio tenersi a distanza e offrire un assaggio di carne, placa la mente. Chi vuole chiacchierare mi annoia, sa. Mentre parlano io sono altrove, mi ricordo qualche viaggio, le foto del mio cane, un panettone di Natale a casa di nonna e mi vien voglia di fumare, solo in quei momenti, pensi. E quelli giu’ parole che commento sempre con ‘Mm ‘. Si, internet vale la pena provarlo. La prossima volta saro’ in grado di dirle, potrebbe tornare utile anche a lei che campa di parole, un poco di silenzio condito da sesso, che fa scuote la testa, dottore, mi guarda strano, ma non dovrebbe rimanere neutro, lei?
Si sconvolge perche’ ogni tanto mi faccio un uomo? Lei? Non mi dica. Orca miseria… Coazione a ripetere, anche questa. Sono incorreggibile. Puo’ darsi che lei creda alla coppia, e io ne parlo male.
Ho bisogno di sgranchirmi le gambe, all’improvviso ho il nervoso, mi tremano, eppure di solito sto bene, qui, cos’e’ cambiato, a parte la segretaria dispersa. Il divano no, sempre morbido.
Mio padre non sa che vengo qui. I miei soldi me li giostro io, anche se lui controlla tutto, pensi, alla mia eta’. Mi tratta come la povera mamma, ma non sono sua moglie. Controllarmi lo fa sentire utile, altrimenti cerca solo di fare ancora soldi, altro non sa fare. Anni fa ha avuto una donna, ma quella aveva un marito e non ha avuto cuore di lasciarlo, allora ha usato i soldini di papino per rifarsi nuova, lei e il suo guardaroba. Con le labbra gonfiate papa’ non l’ha toccata piu’, sa, ha pagato ma poi l’ha buttata via, diceva che baciarla gli ricordava succhiare una gelatina di frutta, che la sua lingua gli pareva irragiungibile con quello strato di roba, meglio farla tornare a casa, le ha dato diecimila euro per scusarsi dell’improvviso cambio di sentimento. Li ha presi, la crisi vale per tutti.
Mancano cinque minuti, dice, ha ragione, non mi ero girata a guardare l’orologio, l’ha spostato? No. Mi pareva, mi sono spostata io. Meglio fare il punto. Subito il punto, dottore, si concentri. E’ cosi’ preciso lei, la invidio, sempre uguale, qualche accelerata finale e mi lascia a terra, sola coi miei pensieri. Alla prossima volta, dice.
Bene. Arrivederci, dico io.
Ah, oggi devo pagare, e’ il quarto giovedi del mese.
Che tempismo che ho, mi ha insegnato alla perfezione, vede?
Una paziente modello. Stanca si, sono stanca. Scusi, non volevo. Scanso il braccio.

Ecco. La data la mette lei. Grazie di tutto.

Esce con delicatezza, la porta non fa alcun rumore. Chiude la fibbia della cintura e soffia aria verso la fronte per asciugare il sudore. Le gambe indolenzite, tiepide.
Sul tavolo, un assegno di diecimila euro.