“Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”, comincia così “Non piangere” di Lydie Salvayre e sta tutta in questa benedizione l’essenza del romanzo: il bene e il male che si confondono facilmente, più facilmente ancora in quel periodo storico che sfocerà nel franchismo e poi nel conflitto mondiale. La mano che benedice i carnefici è quella della Chiesa, schierata contro il libero pensiero, a favore della ricchezza arrogante e brutale nell’estremo tentativo di fermare un tempo fatto di povertà e arretratezza, immobile da secoli.
Bernanos, il francese cattolico,trapiantato in Spagna a vedere lo scempio che la sua gente di fede (il figlio compreso, ma si ricrederà) farà dei poveri cristi che si sono illusi di cambiare, è uno dei poli del racconto. O meglio è il suo stesso racconto che si intreccia a quello della protagonista Montse. E la lucidità del resoconto dello scrittore, l’incredulità che si trasforma in sconcerto e poi in orrore, sono l’altra faccia di una stessa medaglia. E guardano e riportano la storia con la S maiuscola.
Montse, la madre novantenne della scrittrice, spagnola di nascita e trapiantata in Francia dopo il golpe dei falangisti, è ancorata allo stesso tempo che racconta Bernanos, ma quel tempo la riporta all’esperienza felice della sua adolescenza, alla fuga col fratello Josè verso un sogno utopico, che si realizza per i pochi giorni passati lontana da casa e resta poi fermo nella memoria, come bloccato da uno scatto fotografico che cattura anche l’emozione.
E questa è la storia di “Non piangere”, la storia della grande illusione, che riempie una manciata di giorni e resta poi indelebile a segnare tutta la vita: i giorni della scoperta felice che si può fare diversamente, che è possibile un’altra vita.
I personaggi di quella storia sono descritti attraverso la loro giovinezza sfrontata e innocente, alle prese con la strisciante consapevolezza che il male può avere tante facce e che ci si può salvare o dannare per una scelta infelice o per una parola di troppo. E soprattutto – come sperimenta il fratello Josè – che comandano in ogni caso i più violenti, da una parte e dall’altra della barricata.
“Mia madre è una povera cattiva”, scrive l’autrice, raccontando con le parole di un’adulta la storia di una ragazzina appena cresciuta che si ritrova a fare la rivoluzione senza capire niente, incontra l’amore – eterno perché impossibile – che le lascia un segno tangibile, sceglie di sposarsi con un uomo che non ama ma che le darà sicurezza e un nome, mette al mondo una figlia, e che sembra travolta dagli eventi in ogni momento eppure resta salda nella sua storia fatta di tradizione e di famiglia.
Per mettere in scena questa storia piccola ma emblematica la Salvayre ricorre ad un continuo passaggio da un piano narrativo ad un altro, confermando con il racconto ufficiale di Bernanos quello “familiare” di sua madre. E usa una lingua variegata, che dà ricchezza e movimento e accosta il lettore alla storia stemperando la tragicità degli eventi. Una lingua che non è solo la sua (il francese) ma anche quella della madre (lo spagnolo) e che possiamo ugualmente godere anche nella versione italiana, perché le espressioni colorite della madre sono state trasformate in efficaci giochi di parole e le due traduttrici hanno lavorato con cura e attenzione per mantenere intatta l’atmosfera del romanzo.
NON PIANGERE
di Lydie Salvayre
Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala
ed. L’Asino d’Oro
euro 17,00